«Sono me stesso solo quando ho una chitarra tra le mani»: questa frase simbolo di George Harrison compare sul retrocopertina di «A tutto volume» (“Una storia epica dello stile, del suono e della rivoluzione della chitarra elettrica”, Bompiani, pagg 456, € 20), a cura di Brad Tolinski (per 25 anni caporedattore di “Guitar World”, la più importante rivista dedicata al mondo della chitarra) e Alan Di Perna (giornalista per “Guitar World”, “Rolling Stone”, “Billboard”). Per generazioni la chitarra elettrica è stata un simbolo universale di libertà, ribellione e edonismo. Attraverso dodici chitarre, vere pietre miliari, «A tutto volume» fa rivivere la storia di questo strumento iconico, di come un gruppo di innovatori ha trasformato un’idea in una rivoluzione. Come Leo Fender, che non sapeva suonare neanche una nota, ma che ha contribuito a far diventare la chitarra quella macchina del suono esplosiva che è oggi. La chitarra si è colorata nel tempo di un significato politico e culturale dirompente: elemento essenziale nella battaglia per l’uguaglianza razziale nell’industria dell’intrattenimento («Quando si parlava di musica, la gente era disposta a guardare oltre il colore della pelle. La chitarra ebbe un ruolo di primaria importanza nell’ammorbidire certi atteggiamenti razzisti»), fu anche specchio dell’ascesa degli adolescenti come forza sociale, nonché un pilastro del suono e dell’etica punk. Per chiudere il cerchio, si passa poi ai giganti contemporanei come Jack White dei White Stripes, Annie Clark (aka St. Vincent) e Dan Auerbach dei Black Keys, che hanno riportato sotto i riflettori alcuni dei primi, leggendari modelli di chitarra elettrica.
È un errore comune pensare che Les Paul sia stato il solo inventore della chitarra elettrica; in realtà sono stati fondamentali i contributi di George Beauchamp, Adolph Rickenbacker, Paul Barth, Harry Watson, Walter Fuller e altri. Negli anni ’50 irrompe la Stratocaster, il principio da seguire è molto chiaro: «Questa chitarra dovrà essere comoda, come una camicia di sartoria». Obiettivo centrato: sarà la prima scelta per Buddy Holly, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Jeff Beck, Stevie Ray Vaughan.
La Stratocaster suonata da Bob Dylan al Newport Folk Festival nel 1965 è stata venduta nel 2015 per 965 mila dollari, la Heritage, casa d’aste che si occupò della vendita la promosse come “la chitarra che uccise il folk”. È noto, infatti, che l’apparizione di Dylan con in mano una elettrica generò un putiferio: «Quell’evento può essere considerato il big bang che ha dato vita non solo alla musica rock come la conosciamo oggi, ma anche a gran parte della controcultura tipica degli anni sessanta». Molti ricorderanno le immagini di Hendrix nel 1968 a Woodstock con la sua Fender Stratocaster: ebbene, la chitarra fu venduta nel 1998 alla cifra di due milioni di dollari (dal miliardario della Microsoft Paul Allen); ora è conservata nella collezione dell’Allen Experience Music Project Museum di Seattle. «Per molti, il solo nome “chitarra elettrica” basta a rievocare le immagini di Hendrix a Woodstock, con la giubba di pelle bianca tipica dei nativi americani, decorata con frange e perle turchesi, la bandana rossa avvolta intorno alla chioma afro e la Stratocaster che pende al contrario a tracolla (essendo mancino, la suonava ribaltata)».
Il vantaggio più grande introdotto dalla chitarra? La facilità di portarsela in giro, ben più sexy dello statico pianoforte. Inoltre è uno strumento democratico; come disse una volta il leggendario chitarrista dei Rolling Stones, Keith Richards: «È facile suonare la chitarra. Tutto quello di cui c’è bisogno sono cinque dita, sei corde e uno stronzo».
Elisa Russo, Il Piccolo 23 Febbraio 2018