Più di 40 mila presenze per gli AC/DC a Udine: un sold-out annunciato da mesi. «Siamo il gruppo che non piacerà ai genitori», dicevano di sé agli esordi, negli anni Settanta. Forse una delle poche cose su cui la band australiana si è sbagliata. A giudicare dalla folla oceanica e anagraficamente trasversale che gremisce lo Stadio Friuli, di genitori ce ne sono molti. Nonostante la sua eterna carica eversiva, il rock non mette più una generazione contro la precedente, come avveniva in passato. Anzi, la musica degli AC/DC sembra unire e mettere tutti d’accordo. Universale come riesce ad essere solo chi raggiunge lo status di “classico”. La festa al Friuli è resa possibile anche dal tempo, finalmente soleggiato. Apre, abbastanza in sordina, Maurizio Solieri (il chitarrista di Vasco, che propone anche una versione inglese di “C’è chi dice no”). Tocca poi alle Vibrazioni (“accolti” da sonori fischi e cori poco amichevoli): la luce comincia a calare e l’attesa si fa davvero spasmodica. Il set delle Vibrazioni viene salvato in corner dal special guest Pino Scotto, che esegue “Rock’n’roll” dei Led Zeppelin, dedicata a Ronnie James Dio. Alle 21.30 precise cominciano le brevi proiezioni video che precedono la comparsa sul palco dei leggendari monelli del rock’n’roll. Disegni animati sul megaschermo: un treno che sfreccia e Angus Young diavoletto in versione cartone animato, attorniato da seducenti ragazze. Il colore dominante è il rosso, tinta che è richiamata dalle luci e dalle corna luminose che molti tra il pubblico indossano. Poi, una vera e propria esplosione, visiva e sonora. Fuochi d’artificio, fiamme e fumo. Il concerto parte con «Rock’n’roll Train», il singolo tratto dal loro recente «Black Ice». Tutto da copione: in primo piano Angus Young (chitarra solista) con la sua tipica divisa da scolaretto (pantaloncini corti, giacca e cravatta) ed il suo repertorio di mosse (come la “duck walk”, passo dell’anatra alla Chuck Berry) e Brian Johnson (voce) che, con in testa il suo inseparabile berretto, cammina sulla passerella e incita la folla, già in delirio. Più defilati (ma dall’impatto sonoro deflagrante) Malcolm Young (chitarra ritmica), Cliff Williams (basso) e Phil Rudd (batteria). Brian saluta il pubblico in italiano con un “grazie” e come di consueto avverte i presenti che il party sta per cominciare. Il live ingrana subito: precisi come un orologio svizzero, rodati come solo amici e compagni d’avventura di lunga data sanno essere. Sul palco troneggia un immenso vagone treno, anch’esso dotato di corna rosse luminose e lo stemma degli AC/DC. Brian salta e corre e ci fa sapere che l’inferno non è un luogo così brutto («Hell Ain’t a Bad Place to Be»). Acclamatissima e potente «Back in Black», dal suono secco e diretto, doveroso omaggio a Bon Scott. La sua anima è sempre presente, specie quando in scaletta arrivano i classici che in origine cantava lui. Vecchi successi sempre particolarmente apprezzati dai fans. Le radici musicali dei due fratelli Young sono palesi: Yardbirds, Who, Kinks, Small Faces, Rolling Stones, Beatles, e poi: «Il blues ci ha sempre appassionato, specialmente Muddy Waters e parecchie cose di Willie Dixon per la Chess. Little Richard, Chuck Berry sul versante del rock’n’roll, Jerry Lee Lewis», hanno dichiarato. Dal vivo come su disco, gli AC/DC portano il rock’n’roll agli elementi di base, senza risparmiare un colpo; il loro marchio di fabbrica è l’infinito repertorio di devastanti riff di chitarra. Angus sembra tarantolato, non riesce a stare fermo e si dimena come un invasato. Assolo prolungati e sfuriate di chitarra sono le sue specialità. Dopo «Big Jack», in scaletta arriva «Dirty Deeds Done Dirt Cheap», la canzone che costò loro un risarcimento ad una donna di Chicago che aveva ricevuto un’infinità di telefonate oscene dopo che il suo numero di telefono era stato inserito nel testo (in realtà il numero si riferiva alle misure di una donna, il corrispettivo di 90-60-90). Seguono due brani davvero incendiari: «Shot Down in Flames» e «Thunderstruck»: sullo schermo Brian e Angus sono sempre in primo piano, assieme al fulmine stilizzato che compare nel logo della band. Tra i momenti più alti: «The Jack» (introdotta da un lungo siparietto di Brian e Angus lungo la passerella, con tanto di corsa all’indietro e strette di mano al pubblico – da parte di Brian e nel finale un divertente spogliarello di Angus che esibisce le sue mutande griffate ovviamente AC/DC), «Hells Bells» (con la comparsa on stage di una gigantesca campana su cui Brian si appende), «High Voltage», «You Shook Me All Night Long», «T.N.T.» e «Whole Lotta Rosie» la celebre canzone ispirata a Bon da un donnone della Tasmania dai capelli rossi di nome Rosie, con la quale sarebbe finito a letto perché era troppo grossa per dirle di no. Sul finale un altro dei pezzi più amati, con un lungo e spettacolare assolo di Angus: «Let There Be Rock», il cui testo recita: “E fu così che nacque il rock’n’roll (…) C’erano 50 milioni di dita che imparavano a suonare, potevi sentirle pizzicare le corde, e questo è ciò che volevano dire: Sia fatta la luce… il suono… la batteria… la chitarra… sia fatto il rock!”. Spazio ancora per i bis: «Highway To Hell» e «For those About to Rock (We Salute You)». Rory Petrie nel 1977 scrisse degli AC/DC: «Rumorosi è una descrizione troppo sbiadita. Più che altro è un suono vivo che penetra direttamente nella carne e nelle ossa». È stupefacente come nel 2010 sia ancora esattamente così. Gli AC/DC a Udine hanno onorato la memoria del loro compagno Bon Scott. Seppur morto giovane, aveva fatto in tempo a dichiarare che “non si è mai troppo vecchi per il rock’n’roll”.
Da Milano, Andrea Valentini (sceneggiatore, autore dei libri “Iggy Pop – Cuore di Napalm” per Stampa Alternativa e “3.7.69 – Brian Jones, morte di un Rolling Stone” per Tsunami) dice: «gli AC/DC sono come il profumo di casa; puoi stare lontano per anni, credere di averlo dimenticato, ma quando ti ricapita di sentirlo, ti scoppia dentro e ti stende».
Stefano Gilardino (giornalista e scrittore, ex redattore di Rocksound e Rockstar, collabora con Bonsai TV, Bam! e Linearock.it) ricorda: «Ero con mia mamma, giovanissimo, quando comprai “If you want blood, you’ve got it” in un negozio di Novara. Inutile dire che lo acquistai solo per la foto splatter di copertina, ma fu la prima volta che ascoltai un disco degli AC/DC ed è ancora quello a cui sono più affezionato».
Eugenio Monti, responsabile della casa editrice rock Tsunami (che ha pubblicato il libro di Susan Masino, “Let There Be Rock – La Storia degli AC/DC”) commenta: «Sempre uguali e allo stesso tempo sempre nuovi e, soprattutto, fortissimi! Il tutto a dispetto di tragedie come la perdita di Bon Scott e dell’inevitabile passare del tempo. Solidi ed inossidabili!».
Tra i fedelissimi triestini presenti al concerto di Udine c’è Franco ”Garybaldi” Stogaus (dj a Radio Fragola e vicepresidente di “Trieste is Rock”) che afferma:
«Non so se fosse in corrente continua o alternata ma la scarica di energia che mi arrivò addosso in quel lontano 18 agosto 1979 allo stadio di Wembley la ricordo benissimo, ed i suoi “positivi effetti”, a lento rilascio, credo di percepirli ancora oggi! Angus Young e Bon Scott erano davvero all’apice della loro potenza! Sono trascorsi più di trent’anni ma vi posso garantire che l’energia vitale della miglior hard rock band in circolazione è rimasta la stessa di quel giorno: Let there be rock!».
Max Velvet, bassista dei triestini Fuel From Hell: «Suoniamo regolarmente dal vivo “High Voltage” e siamo tutti fanatici di Angus & Co., specialmente Stefano, lui fa il tassista e guida l’unico taxi a Trieste col loro logo dietro!».
Fabio Drusin (voce e basso dei friulani W.I.N.D.), dice – con linguaggio diretto quanto quello dei beniamini australiani: «Gli AC/DC sono una di quelle rare band che ti possono dare calci in culo anche se sei seduto, e farteli sentire…».
Lo scrittore Al Custerlina, autore di “Balkan Bang!”, ricorda: «Era il 1979 e avevo 14 anni, quando un proiettile sparato dall’Australia entrava dritto nella mia testa per non uscirne mai più. “Highway to Hell” era giunto sugli scaffali dei negozi e il rock’n’roll ruvido degli AC/DC era diventato parte del mio DNA».
«C’è una famosa frase della band che dice più o meno: “La musica deve essere suonata il più forte possibile, deve essere cruda ed avere una “pacca” che ti arriva allo stomaco, e spazzeremo via con la stessa energia tutti quelli a cui non piace la maniera in cui la suoniamo”. Quale manifesto programmatico più efficace per qualsiasi rock band? Grandi questi vecchi del rock che come altre band storiche continuano, inossidabili, a riempire gli stadi». Commenta Gabriele Centis (musicista triestino e responsabile della Scuola di Musica 55).
La pensa allo stesso modo anche Giuseppe Vergara, lo scrittore triestino di “Rockshort”, che aggiunge: «Sono felice che un altro pezzo di storia del rock tocchi la nostra regione».
Elisa e Ricky Russo, Il Piccolo 20 Maggio 2010