Gli Algiers sono uno dei gruppi del momento. Il loro nuovo album “Shook” (Matador), quarto della carriera, esce il 24 febbraio e si è già conquistato recensioni stellari e copertine sulle riviste musicali. È un mix moderno di no wave, elettronica, gospel soul, hip hop, punk e testi impegnati quello proposto da Franklin James Fisher (voce, chitarra, piano Rhodes), Ryan Mahan (basso e molto altro), Lee Tesche (chitarra e loops) e l’ex Bloc Party Matt Tong (batteria) che si sono divisi negli anni tra Londra e New York ma la loro base è Atlanta. «Credo che questo disco – afferma Mahan – rappresenti il nostro ritorno a casa». «È stata un’esperienza – aggiunge Fisher – avere un rapporto rinnovato con la città da cui proveniamo ed esserne orgogliosi. “Shook” è un viaggio che inizia e finisce ad Atlanta». Ad agosto 2019 erano pronti per suonare al Castello di San Giusto di Trieste, quando un forte temporale costrinse ad annullare, finalmente tornano in zona: il 18 al Capitol di Pordenone (alle 21, serata in collaborazione con Sexto ‘Nplugged, aprono gli Overlaps) e il 20 alle ore 20 alKino Šiška di Lubiana. «Ricordo benissimo Trieste – dice Matt Tong –, avevamo portato tutta la strumentazione su in castello, siamo anche riusciti a fare il soundcheck, poi siamo tornati in hotel in attesa dello show ed è arrivato un tremendo temporale, abbiamo sperato smettesse, ci piaceva troppo l’idea di suonare in quella bella cornice, eravamo proprio tristi. Peccato».
Il vostro amore per l’Italia?
«“La battaglia di Algeri” di Pontecorvo è stato seminale per noi, da lì prendiamo il nome. E poi Pasolini, Morricone…».
A Pordenone e Lubiana portate in anteprima il vostro “Shook”. La scossa del titolo è quella data dalla pandemia?
«È solo un punto di partenza. La sorpresa e lo shock sono quelli che ti colpiscono in generale quando nella vita ti succede qualsiasi cosa imprevista. In America abbiamo vissuto l’atteso cambio politico e non solo. E poi Frankie, cantante e autore, si riferiva alla sua vita privata. Ci sono state insomma tante cose che ci hanno scosso. Se vogliamo vederci il lato positivo: questo album non sarebbe mai esistito senza la pandemia».
I vostri testi sono densi, spesso di protesta. La musica ha ancora un ruolo rivoluzionario?
«Gli artisti molto spesso devono palesare il modo in cui vedono la realtà che li circonda, sperando che ciò possa aiutare chi ascolta. In questo si può essere agenti del cambiamento, certo, ma si è solo una componente di un processo ben più complesso. Possiamo creare una colonna sonora con cui le persone percorrono la strada che hanno scelto e questa è già una bella cosa».
Zack de la Rocha dei Rage Against The Machine, Big Rube, Billy Woods, Backxwash, Mark Cisneros, Samuel T. Herring, Jae Matthews, LaToya Kent, Nadah El Shazly, DeForrest Brown Jr., Patrick Shiroishi e Lee Bains III: sono tutti ospiti di “Shook”. Come li avete scelti?
«Persone che rispettiamo e ammiriamo. Il disco è stato registrato durante la pandemia e i lockdown, un periodo che ha spinto molto sulle collaborazioni online. Certe idee si sono cristallizzate e abbiamo avuto il tempo di pensare a chi si sarebbero adattate, amalgamandosi con il resto».
Ci sarà qualcuno di loro anche dal vivo?
«Ovviamente non possiamo portarli con noi in Europa, ma nella data che abbiamo tenuto a New York abbiamo cercato di coinvolgere il numero maggiore possibile degli ospiti, eravamo in trenta sul palco, non avevamo mai fatto nulla del genere prima, è stato pazzesco».
Elisa Russo, Il Piccolo 09 Febbraio 2023

