ANDREA CHIMENTI AL TEATRO MIELA IL 25.02.23

Andrea Chimenti negli anni ’80 è stato uno dei frontman storici della new wave italiana con i Moda, ha poi intrapreso la carriera solista, tra le tante collaborazioni quella con Mick Ronson (chitarrista di David Bowie). “Il Deserto La Notte Il Mare”, del 2022, è il suo decimo album, ricco di ospiti come David Jackson dei Van Der Graaf Generator, Ginevra di Marco, Antonio Aiazzi (Litfiba), Fabio Galavotti (Moda), Francesco Magnelli (CSI e CCCP). L’ultimo disco sarà il centro della scaletta del concerto al Teatro Miela il 25 febbraio alle 21, accompagnato da Francesco Cappiotti e Cristiano Roversi; ci saranno poi alcuni brani di Bowie (Chimenti, dal 2014, si cimenta con il repertorio del Duca Bianco). Spazierà anche con le parole scelte tra le righe del suo ultimo romanzo “L’organista di Mainz”. «Non suono a Trieste da tantissimo – racconta Chimenti –, ricordo un lontano Festivalbar in Piazza Unità con i Moda negli anni ’80». 

“Il Deserto La Notte Il Mare”: cosa rappresentano?

«Tre luoghi simbolo di questo momento storico dove l’uomo ha dovuto combattere per sopravvivere, attraversati da migliaia di uomini in fuga anche oggi, ma anche tre condizioni dell’anima che ognuno di noi si trova a dover attraversare prima o poi. Tutto è ricondotto al tema principale del disco: il viaggio, interiore e non solo, dove la salvezza può essere la spiritualità». 

Un buio anche del mondo musicale?

«È cambiato tanto, io sono affezionato a un certo modo di fare musica e non mi riconosco in quello attuale, però ci sono delle cose che apprezzo, cantanti interessanti».

I testi di oggi sono forse meno poetici?

«I giovani credo che stiano raccontando, anche attraverso i testi, un vuoto esistenziale che vivono sicuramente non per colpa loro, ma delle generazioni precedenti che sono quelle che hanno costruito il presente. Nella loro musica trasferiscono questo disagio, e a noi arriva come una sorta di disturbo».

A proposito di scrittura, lei ha scritto anche due libri.

«Il romanzo “Yuri” e la raccolta di racconti “L’organista di Mainz”. Scrivere racconti è una formula che mi piace molto, un po’ per la brevità, la sintesi, mi ricorda l’lp che è una raccolta di brani musicali, c’è un’assonanza che mi fa sentire a mio agio».  

E poi teatro, cinema, colonne sonore… come concilia tutto?

«Si tratta sempre di creatività, a volte si applica a un’installazione, altre a una canzone».
Si definisce underground e non indie, come mai?

«Indie in passato significava davvero indipendente e alternativo rispetto alla musica di massa, oggi indie mi sembra sia diventato l’anticamera del mainstream, si cercano di fare delle cose per poi passare al di là del guado. Preferisco quindi dire che io faccio underground, parola che mantiene un significato, la musica sotterranea che viaggia per strade differenti da quella che è la superficie».

Il suo pubblico?

«Sono fortunatissimo, ho un pubblico molto affettuoso, attento, conoscitore della musica, che pretende tanto e questo a volte mi fa paura. Mi emoziona sempre salire su un palco perché so che dall’altra parte ci sono persone che conoscono la musica e hanno grandi aspettative, mi dà soddisfazione, mi incentiva, c’è un vero scambio di affetto».

Elisa Russo, Il Piccolo 25 Febbraio 2023 

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