Un pubblico numeroso e attento ha accolto i Baustelle al Deposito Giordani, in una nebbiosa notte pordenonese. La band toscana (milanese d’adozione), con l’ultimo disco «Amen» si è definitivamente affermata come una delle migliori espressioni della musica indie rock italiana. Quella di Pordenone era la prima data del nuovo tour, eppure i musicisti sul palco si sono dimostrati già rodatissimi: ai “soliti” Francesco Bianconi (voce, chitarra), Rachele Bastreghi (voce, tastiere) e Claudio Brasini (chitarra) si sono aggiunti Ettore Bianconi (tastiere), Nicola Manzan (violino, chitarra, tastiere), Alessandro Majorino (basso) e Sergio Carnevale (batteria). Il concerto si è aperto con «Antropophagus», fotografia spietata di Piazza Duca D’Aosta a Milano, davanti alla Stazione Centrale. Canzone violenta e diretta, ottima per rompere il ghiaccio. I riflettori sono puntati sui due leader. Rachele, sempre più convincente anche come cantante e autrice, con quella sua aria da bambina imbronciata, irresistibile quando le scappa da ridere ai ripetuti complimenti osé strillati dalle prime file. E Francesco, che con la barba sembra un Gesù rock che alza lo sguardo al cielo, in cerca di qualcosa di alto. La ricerca pasoliniana di un Dio. O come ha scrittoCormac McCarthy «Non c’è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti». Il live è incentrato sul nuovo album, un concept sul degrado della civiltà occidentale. «Colombo» (sì, proprio il tenente della famosa serie tv), pezzo lineare, dall’assetto rock classico; «Charlie fa surf», inno rock’n’roll e parodia della ribellione; l’omaggio a Lee Hazlewood di «Panico!», la dolorosa canzone d’amore «L’Aereoplano». Esplosiva la versione di «Baudelaire», quasi danzereccia, con chitarre spigolose e l’invito a vivere la vita come se si scrivesse una poesia. Dal vivo riescono ad essere glaciali ma al tempo stesso molto comunicativi, come se avessero trovato la ricetta della perfezione nel distacco. Certo i testi sono zeppi di riferimenti colti, ma i Baustelle sono fruibili a due livelli: si può apprezzarne lo spessore culturale, ma ci si può anche limitare a godere di canzoni pop/rock sapientemente costruite.


Elisa Russo, Il Piccolo 03 Marzo 2008

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