«Mi sento un misto di culture e di genti. Vengo da un territorio in cui la forza è non avere un’identità. O avercene mille». Così si descrive il dj e produttore goriziano Borut Viola. «Quando con il progetto Scuola Furano si era esaurito tutto, ho cominciato a ripensarmi. In fondo il mio passato musicale – anche se in Italia avevo fatto tanto – in Spagna non contava, e allora ho azzerato tutto per ripartire, in totale libertà»: dopo un buon successo in patria nei 2000, ha deciso di reinventarsi, col nome d’arte Bawrut, a Madrid, dove vive ormai da dieci anni. Il primo pezzo firmato Bawrut, “Ciquita” del 2016, diventa culto grazie al passaggio su Radio 1 della BBC, da lì è tutto in discesa, fino alla pubblicazione dell’acclamato album “In the middle” nel 2021.

Borut: come hanno scelto i suoi genitori questo nome di battesimo?

Oh è una storia abbastanza divertente. I miei erano titolari della Trattoria alle Viole sulla statale che unisce Gorizia a Gradisca. Veniva lì un cugino di mio papà, che viveva in Jugoslavia, e aveva un figlio che si chiamava Borut. Questo bambino era un po’ sovrappeso, gli piaceva mangiare parecchio e mia mamma non vedeva la cosa di buon occhio. Si perdono di vista, qualche anno dopo vanno a trovarlo. Scende dalle scale e, sorpresa: era un ragazzo alto, magro, bello. Mia mamma era incinta, affascinata e incredula disse: “se è un maschio lo chiamerò Borut!”. 

E poi l’ha conosciuto questo Borut?

Avevo 4-5 anni e ricordo che in camera sua aveva le luci stroboscopiche, da discoteca, penso ascoltasse italo disco, ma ero troppo piccolo: non è lui che mi ha influenzato nella mia carriera.   

Come arriva allora la musica nella sua vita?

Mio fratello più grande comprava i dischi anni ’80 in Jugoslavia, dove le versioni internazionali venivano ristampate dalla Jugoton e costavano meno che in Italia. Ma la grossa botta è stato il rap anni ’90 sia italiano (Sangue Misto, Colle der Fomento), che americano (Notorious Big, Wu-Tang Clan, N.w.a.). Poi a inizio 2000 vengono i Daft Punk a Jesolo e da lì ha cominciato a piacermi quel mondo. Facevamo i rapper in cantina, c’era un campionatore e cercavo di unire la musica house al rap. È partito tutto in maniera molto artigianale, e nonostante sia migliorato tanto e abbia capacità e conoscenza su come si fa musica, oggi mi piace mantenere l’approccio naif degli esordi. 

A Gorizia nei 2000 c’era una scena fervida?

Eravamo ingenui, e giovani. Con la spavalderia che ti viene data dal fatto che hai fame di conoscere cose nuove ma non sai nulla, quindi ti muovi con un certo impeto. Raccontavamo che Gorizia era la nuova Londra. Come la Pordenone del Great Complotto, in cui la leggenda si autoalimenta. Bisogna crederci. 

Madrid cosa le ha dato?

Il cambiamento di cui avevo bisogno. Vivendo a Gorizia, città piccola, con poca cultura e input, mi serviva un posto più grande, che mi desse di più. A Gorizia avevo quella brutta sensazione in cui le persone non si conoscono veramente, ma tutti sanno tutto di tutti. Quando sono arrivato qui, mi sono liberato da una serie di zavorre mentali che non sapevo neanche di avere ma evidentemente mi bloccavano nell’esprimermi. Qui sono senza lacci, mi ha fatto bene.

Ha concretizzato di più?

Da subito sono riuscito a pubblicare un paio di ep, farli uscire in vinile, attirarmi l’attenzione di un’etichetta che mi ha preso e ha cominciato a spingermi. Da lì ho fatto il Sónar due anni consecutivi, ho suonato in giro per i festival e per i club. Non è stata un’esplosione ma una crescita costante. Oltre alla mia musica mi dedicavo anche ai remix, alla musica altrui. 

L’idea dell’album?

Volevo ci fosse un concetto dietro, una celebrazione a Madrid che mi ha dato la vita e poi il focus si è ampliato. In quel momento si chiudevano i porti e la cosa mi ha fatto molto pensare, allora mi sono focalizzato sul Mediterraneo.

Ci sono dei libri sull’argomento che l’hanno ispirata?

Iain Chambers ha scritto un libro molto bello come “Mediterraneo Blues” dove analizza le mescolanze, “La frontiera” di Alessandro Leogrande che racconta storie di persone che decidono di attraversare il mare, “Il Mediterraneo” di Fernand Braudel. Queste letture mi hanno fatto pensare a slogan assurdi tipo “prima gli italiani” in cui ci si attacca a delle identità che sono delle coperte di Linus per sentirsi più facenti parte di una società, senza studiare un minimo la storia e rendersi conto che è molto difficile considerarsi “puri” e quindi avere un’identità così forte come nazione, soprattutto nel Mediterraneo dove siamo la storia di storie stratificate. Gli italiani sono la somma di millenni di colonizzazione. Stessa cosa per gli spagnoli che hanno un sacco di influenza dalla cultura araba, mediterranea, francese. 

Ha coinvolto anche due ospiti celebri, Cosmo e Liberato.

Sono contento di questi due featuring. Cosmo l’ho conosciuto tempo fa, mi ha invitato a suonare alle sue feste Cosmotronic a Ivrea e anche a un suo concerto a Napoli, ho un debole per lui, una persona matura che cerca di dire delle cose importanti. Gli ho dato carta bianca. Per quanto riguarda Liberato: tutta la sua estetica e la grafica sono curate dalla mia ragazza e sono stato forse la prima persona a parlare di lui in Italia, siamo sempre in buoni rapporti, mi ha chiamato a suonare assieme sia a Milano che a Roma. 

BIOGRAFIA 

Nato a Gorizia il 26 settembre 1978, Borut Viola nei 2000 ha avuto una carriera musicale apprezzata, con il progetto Scuola Furano «facevamo musica house – ricorda – con l’approccio rap, assieme ai ragazzi della Riotmaker di Udine, le cose sono andate piuttosto bene per una decina d’anni». A Gorizia Borut era conosciuto anche per il tabacchino/edicola di famiglia in cui, per molti anni, sveglia all’alba, accoglieva i goriziani con un sorriso e vendeva «un sacco di copie de “Il Piccolo”». Una decina di anni fa cede l’attività e segue la fidanzata spagnola a Madrid. Qui comincia una nuova fase della sua carriera musicale, con lo pseudonimo Bawrut «Una piccola modifica al mio nome, per non essere confuso nel web con i già tanti dj sloveni che si chiamano Borut», con cui pubblica alcuni singoli ed ep, fino ad arrivare a un album completo. Come dj viaggia parecchio: di recente in Israele, Portogallo, Germania, Francia… 

L’ALBUM “IN THE MIDDLE”

Il suo primo album “In the Middle” (Ransom Note Records) uscito a novembre 2021 è un concept sul Mediterraneo e sul tema delle migrazioni, una parte dei proventi del disco va all’organizzazione umanitaria Open Arms. Con ospiti come Cosmo, Liberato, Glitter, Chico Blanco e testi in italiano, spagnolo, arabo, napoletano, il lavoro è stato incensato dalle riviste di settore (all’uscita, disco del mese e ampie interviste su “Rumore” e “Blow Up”). L’anno scorso è uscito in versione “extended” con quattro brani in più. Il genere è musica elettronica più d’ascolto che da ballo, con attitudine punk ai suoni, «magari più sporco e grezzo ma evitando il piattume e la prevedibilità di certa musica elettronica di oggi». «Mi chiedo com’è possibile che per anni con Scuola Furano cercavo di arrivare a questi livelli e non ci arrivavo e invece qua senza nessuna pretesa le cose sono andate come mi sarebbe piaciuto che andassero. Ti sembra di fare tutto alla stessa maniera, quando ingrani è un piacere».

Elisa Russo, Il Piccolo 15 Luglio 2023 

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