BEAT ON ROTTEN WOODS DISCO DI DEBUTTO 1.12.19

Un personale mix di blues, grunge, beatbox, industrial: i Beat on Rotten Woods sono una delle band più originali in città e dal primo dicembre si può ascoltare il loro omonimo disco di debutto, registrato da Alessandro Giorgiutti e masterizzato da Gabriel Ogrin allo Studio Jork. Nascono nel 2013 con Mace alla voce, loopsation, beatbox (che permette di produrre con la bocca i suoni di una batteria) e Rob alla chitarra, il primo già visto nel mondo hip hop (con Yane), oggi anche nei Glory Owl e il secondo in formazioni rock’n’roll come i Bastard Sons of Titty Twister. Suonano parecchio (anche al Miela in apertura di Bob Log III) e registrano da Jambo Gabri un ep di 5 tracce nel 2016. Finché la coppia si allarga e coinvolge altri talenti della scena rock triestina: Tilen (Dorothy, Gonzales, Tytus, Omza) al basso e cori e Nevio (Black Pope) alla chitarra, banjo e cori. Hanno realizzato due videoclip: «Shining People» diretto da Mario Orman e «Spaces» realizzato da Matteo Prodan di Sonicyut, arrivato in finale di Cortinametraggio 2018. Sono stati anche nel cartellone del Mittelfest, con uno spettacolo tra danza e concerto. «Siamo quattro amici – dicono – requisito fondamentale. Componiamo e suoniamo divertendoci e portando ognuno una parte di sé nelle canzoni. Ogni nostro pezzo è un golem di risate, birra e frammenti di stress quotidiano che assembliamo nel nostro umido laboratorio nei sotterranei della città».

«All’inizio – proseguono – essere in due ci affascinava anche perché ci ispiravamo a White Stripes, Black Keys, Royal Blood. Ma certi limiti si facevano sentire. Avremmo potuto affidarci alla loopstation ma una voce diversa da quella del cantante principale, e soprattutto eseguita dal vivo, rende il nostro sound un gustoso ibrido tra meccanicità e carnalità». Si sono conquistati un seguito fedele a suon di live, la loro arma è «La spontaneità, l’urgenza espressiva. La gente percepisce che oltre a una preparazione minuziosa c’è un’energia che travolge».

«Trieste è una fucina di talenti – concludono -. I locali per suonare ci sono ma si nota un calo rispetto al passato e manca un club di dimensioni medio grandi per ospitare band internazionali. Abbiamo la fortuna di abitare in un luogo pieno di stimoli, l’arte abbonda in tutte le sue forme, da quella umana a quella naturale. Ma Trieste non è la meta. È lo stimolo, la partenza, è la casa fatta di arte, mare, maree, libri e alberi, bassorilievi o persone da osservare in silenzio su una panchina di Cavana».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 1 Dicembre 2019 

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