«Le persone hanno voglia di musica dal vivo, il pubblico è fortissimamente motivato, c’è il desiderio di ritrovarsi nel concerto che forse è uno dei momenti di socialità più belli che ci vengono dati»: questa l’Italia che Cesare Basile sta trovando alla ripresa del tour dopo lo stop forzato. Si recupera così anche la data prevista per marzo e ora inserita nella rassegna “Decameron Miela”, venerdì alle 21.30 (prenotazione necessaria). Sul palco con il cantautore siciliano dalla trentennale carriera, i Caminanti, band composta da Vera Di Lecce e Alice Ferrara (voce, percussioni, synth), Sara Ardizzoni (voce, chitarra elettrica), Massimo Ferrarotto (percussioni).
Ha dichiarato che sono la miglior band mai avuta.
«I Caminanti sono sempre stati un collettivo aperto in cui i musicisti si alternavano, basato molto sull’amicizia, sugli incontri, anche sulla casualità e quella attuale è la formazione che si sta esprimendo di più, le energie sono molto forti e creative, non ci sono dei reali motivi nelle alchimie musicali, accadono senza che tu te ne accorga».
Influisce la “quota rosa”?
«Ho sempre suonato con donne, è un discorso delicato: è un po’ strano parlare di musicisti maschi o femmine, la distinzione si fa solo in un caso (nessuno specifica: “è un batterista uomo”). Ma non posso negare che probabilmente le donne riescono a mettere in circolo delle energie più salutari rispetto a quelle della rock band tutta testosterone».
Porta “Cummedia”, undicesimo disco, uscito l’anno scorso.
«Mio malgrado è un album visionario. L’occasione di scrittura era nata da un lavoro fatto a teatro su “Lo Stato di assedio” di Camus, sulla falsariga de “La peste” in cui immaginava l’esplosione improvvisa di un’epidemia che prende il comando e diventa il potere. Ci avevamo studiato e lavorato tanto, anche con dei workshop e alla fine ho pensato di tirarne fuori un album. Ci siamo trovati ad anticipare le tematiche che stiamo vivendo: per esempio il fatto che in periodi di epidemia o di emergenza si cerca un untore, forse per assolverci, per rassicurarci, per scaricare le nostre tensioni su qualcun altro, in un gioco perverso».
“Cummedia” in siciliano, oltre che cometa (portatrice di sventure), significa aquilone.
«C’è comunque anche una chiave di lettura attiva se non ottimista, il cattivo presagio dato dalla cometa era simbolo di un evento importante che creava coinvolgimento dal punto di vista sociale. La questione è che l’esito di questo momento di crisi sarà determinato come sempre dalle scelte che fanno gli esseri umani, non è un destino ineluttabile».
L’importanza del dialetto per lei?
«Trovo che ogni occasione di eterogeneità sia sempre un’opportunità di ricchezza per le persone. Sapere di avere a disposizione la lingua della terra in cui sei nato ti dà uno strumento poetico, una lente attraverso cui guardiamo il mondo e ce lo spieghiamo».
Il tour attuale è organizzato da lei stesso?
«Dopo tanti anni passati a lavorare con le agenzie mi sono detto che forse valeva la pena tornare alle vecchie abitudini di quando ero più giovane e si praticava il do it yourself, nello spirito punk di fare le cose da soli per cercare di sottrarsi a delle dinamiche che necessariamente si creano quando lavori con qualcuno che vende le tue cose. Tornare a un artigianato, al contatto diretto, aggirare la questione della musica come merce, essere artefice delle scelte dei giri e i posti in cui vai a suonare. Rimane la compravendita dell’arte ma si instaura un rapporto diverso».
Elisa Russo, Il Piccolo 11 Settembre 2020