Sabato alle 21 l’auditorium della Casa della Musica di Via dei Capitelli ospita il songwriter americano Christopher Paul Stelling in un concerto organizzato da Trieste is Rock e Good Vibrations, primo appuntamento di una rassegna dal nome “Are You Folk?”. Nato in Florida e cresciuto tra Colorado e New York, incluso nel 2015 da Rolling Stone tra i 10 migliori nuovi artisti, Stelling è un folksinger dalle molte ispirazioni: elementi di Bob Dylan e Stones, tracce di folk-blues e richiami irish.
In apertura di serata An Early Bird ovvero Stefano De Stefano, 10 anni con i Pipers tra Napoli e Milano, l’attenzione da parte della rivista inglese NME, Virgin Radio, Rai e Mtv, tre dischi all’attivo e tour in Italia e in Europa anche con Starsailor, Ocean Colour Scene, The Charlatans, Ian Brown, Turin Brakes, Jack Savoretti, Rachel Sermanni, Joshua Radin…
Stelling, molto apprezzato anche per il suo stile chitarristico, racconta: «Mi definisco un “cantautore in viaggio”, perché realizzo dischi di canzoni mie che cerco poi di portare dal vivo in giro per il mondo il più possibile».
Tre date italiane nel suo lungo tour.
«Amo l’Italia e credo ci siano talenti ed artisti eccellenti. Ho tanti amici di cui adoro la musica soprattutto in Sardegna, cito The Heart and the Void e Franksy Natra, entrambi originari di Cagliari anche se Franksy ora vive a Roma. Non sono mai stato a Trieste né nei dintorni e quindi non vedo l’ora».
Alla Casa della Musica che spettacolo propone?
«Spero che al pubblico, come sempre, arrivi la mia passione sincera per quello che faccio. Spero che vedano l’impegno e l’emozione che cerco di mettere in ogni mia performance».
Quali differenze ci sono tra il pubblico europeo e quello americano?
«Una volta credevo ci fossero molte differenze, ma più passa il tempo e più noto dei punti in comune. Ecco, una peculiarità che ho notato in Europa è che c’è molto più entusiasmo e seguito per la musica dal vivo nelle città più piccole, i migliori concerti sono proprio quelli che si tengono fuori dai grandi centri».
Come sta andando “Itinerant Arias”, il suo ultimo album?
«Alla grande. Sono orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto, anche se è fuori da soli cinque mesi, io sto già pensando al prossimo».
C’è una canzone, “Sleep Baby Sleep” che è una ninna nanna particolare…
«Dedicata a profughi e rifugiati: nei miei viaggi ne ho conosciuti di speciali. Ho preso coscienza della crisi siriana qualche anno fa, in uno spostamento da Calais a Dover. Ho visto dove erano accampati, i loro occhi disperati dietro filo spinato e barriere, poterli superare solo perché avevo il passaporto “giusto” e sono nato nel paese “giusto” mi ha fatto stare male».
Il suo stile di vita combacia con ciò che racconta nelle sue canzoni?
«Sì, sono un viaggiatore, alla ricerca di nuove culture e nuove esperienze. Cerco di non chiudermi nessuna porta. Questo è quello di cui scrivo ed è quello che sono».
Ricorda il momento in cui ha capito che la musica poteva essere la sua vita?
«Naturalmente. Ma non mi guardo indietro, e non dò nulla per scontato. È per questo che mi tengo impegnato, so che tutto può svanire in un soffio».
Quando è in tour riesce a scavarsi un po’ di tempo libero?
«Non molto. Guido per tantissimi chilometri ogni giorno e ascolto un sacco di podcast, notiziari e audio storie. All’inizio è stata dura essere sempre in giro, ma ora è diventato uno stile di vita. Essere così tanto in bar e locali, con alcol e tabacco che circolano sta diventando un po’ pesante per me, perché di base sono salutista (almeno cerco di esserlo quando non sono in tour)».
Prossimi progetti?
«Finita questa tournée mi prenderò un po’ di tempo per scrivere. E poi di nuovo “on the road”, sulla strada».
Elisa Russo, Il Piccolo 21 Ottobre 2017