«Ho percorso 25 mila chilometri in cento giorni cantando e suonando per sei sere a settimana. Senza mai un istante di noia, stanchezza o ripetitività. Teatri bellissimi, spettatori attenti ed entusiasti sono stati lo spettacolo per i miei occhi e le orecchie. Io ci ho messo la voce, le mani, il cuore. Gli altri le emozioni, le grida e gli applausi. Ma non termina qui. Se il pubblico chiama, l’artista torna in scena, ringrazia e concede il bis». Claudio Baglioni torna anche in Friuli-Venezia Giulia con il tour “Dodici Note Solo Bis”: a dicembre il 14 al Teatro Nuovo Giovanni da Udine e il 15 al Teatro Verdi di Gorizia; il 30 gennaio al Politeama Rossetti di Trieste, sempre alle 21. Un altro giro nei teatri, visto il successo del precedente “Dodici Note Solo”, con Baglioni alla voce, pianoforte e altri strumenti. Oltre 50 anni vissuti in musica, più di sessanta milioni di copie vendute in tutto il mondo per il cantautore romano che, dalla fine degli anni Sessanta (il talent scout che lo scoprì fu il triestino Teddy Reno) a oggi, è riuscito a conquistare una generazione dopo l’altra, grazie a un repertorio pop, melodico e raffinato.
Baglioni, che significato ha per lei suonare nei teatri?
«Mi sono goduto i kolossal con centinaia di persone in scena, ma qui c’è una dimensione intima, da camera. 72 concerti in 100 giorni, tutti debutti, niente repliche. Vado a cercarmi il pubblico città per città godendomi la meraviglia dei teatri all’italiana, mi metto nella condizione di creare un po’ di meraviglia, di stupore. Intendo questo lungo giro di concerti come un modo per rianimare le nostre vite con la musica dopo il difficile, doloroso silenzio imposto dalla pandemia».
Cosa porta sul palco?
«Ho preso un pianoforte e l’ho diviso in tre, sono diventate tre tastiere, una delle quali è un pianoforte digitale-acustico, le altre due sono tastiere che si avvalgono di un’effettistica. Cerco di portare da solo un’orchestrazione fatta quasi di stati d’animo, di riverberazioni, di aggiunte, lontane però anche presenti all’orecchio degli ascoltatori».
La scaletta?
«Tante canzoni, sempre poche per le oltre 300 che ho scritto, e la possibilità di cambiare ogni sera, certe volte vorrei fare un’estrazione a sorte proprio per non incorrere nella problematica di prendere decisioni. Cerco di creare un racconto attraverso le diverse timbriche e la scelta di alcune canzoni tra le più popolari, ma altre invece di “seconda fila”, cioè quelle che io ritengo tra le cose migliori che sono riuscito a fare, e le snocciolo un po’ come in un calendario al contrario, un orologio che le lancette le porta indietro».
Tra i tanti riconoscimenti, quest’anno è arrivato il Premio Tenco.
«Trovo che sia un premio alla carriera ed è un segno positivo che arrivi molto tardi perché vuol dire che la carriera è ancora in esistere. Apprezzo il Tenco anche se elitario, nel senso buono, penso che sia giusto. Anche il Festival di Sanremo iniziò così, quando si è trattato di organizzare il mio Festival mi sono dichiarato il primo anno “dittatore artistico” e il secondo “dirottatore artistico”, sono usciti fuori dei bei personaggi, due edizioni che hanno rotto un certo rituale e mi sembra che sia continuata».
Elisa Russo, Il Piccolo e Messaggero Veneto 06 Dicembre 2022

