CRISTINA DONA’ (recensione concerto, 2004)

cristina donà

Cristina-Dona-foto-di-F38FUna “Stella Buona” che ti riscalda il cuore in una giornata di pioggia: la fata Cristina Donà arriva in punta di piedi. Porta con sé un bagaglio sproporzionato rispetto alla sua esile figura: un talento enorme calibrato da una lodevole quanto rara umiltà. Arriva piano, ti accarezza, t’incanta dolcemente lasciando segni indelebili. Niente sarà come prima.

Ai suoi passi vellutati, alla sua eleganza da vendere ci aveva abituati fin dal suo esordio nel 1997.

“Tregua”, piccolo gioiello prodotto da Manuel Agnelli degli Afterhours, vinse il prestigioso Premio Tenco. Unanimità di lodi s’innalzarono a consacrare la nuova P.J.Harvey bergamasca.

Una maggiore sperimentazione sui suoni e le numerose collaborazioni (Agnelli, Morgan, La Crus, Marco Parente per citarne alcuni) la portarono nel 1999 a rifugiarsi nel suo “Nido”. Un cuore esposto con una gioia infinita e urlante, un brivido esteso all’universo che rimane fermo; ad impreziosire il tutto Robert Wyatt, ospite nella suadente “Goccia”.

“Dove sei tu” esce nel 2003, prodotto da Davey Ray Moor dei Cousteau. Il viaggio continua con punti di riferimento certi come Jeff Buckley e Nick Drake, passando ad episodi nello stile di Bjiork di Dancer in the Dark ed arrivando al tocco sonico di Casacci &Co.

Ad aprire la serata al Teatro Pasolini di Cervignano c’è un altro artista di casa Mescal. Cesare Basile, catanese trapiantato a Milano, è stato protagonista dell’underground italiano degli anni 80 (Candida Lilith, Kim Squad, Quartered Shadows) ed è oggi al suo quarto album solista “Gran Calavera Elettrica” prodotto da John Parish. Nick Cave, Calexico, Tom Waits sono nell’aria. Nebbia, blues viscerale, musica che dà voce alla dignità della sconfitta. Il dolore urlato come componente inscindibile della vita, raccontato con crudezza e senza tabù o ipocriti moralismi. Basile non è accompagnato dalla sua band ed esegue i pezzi da solo. Chitarra e voce, per un impatto diverso da quello del disco, ricco di suoni. Tuttavia questa versione scarna mette in particolare rilievo la bellezza disperata di brani come “A che serve lo zolfo”, “Apocrifo”, “L’albero Giuda”, “Trave”. L’atmosfera è pronta per l’ingresso di Cristiana che siede alla tastiera e ci offre come assaggio un duetto con Basile.

La Donà ci fa entrare nel suo giardino riempito d’oro, di cose nuove ed inedite ce ne fa sentire parecchie, in un’ora e mezza di assoluta magia. La scaletta standard è completamente riveduta per adattarsi all’atmosfera raccolta di un teatro. I brani sono riarrangiati in chiave acustica, proposti così come sono nati, in forma grezza e minimale. Ciò permette di cogliere infinite nuove sfumature. La cantautrice regge il palco con grazia e maestria, ipnotizza con la sua voce duttile dai mille colori, intrattiene con dialoghi e aneddoti, rivela una sana verve ironica e scanzonata, si offre al pubblico senza parsimonia. Ad accompagnarla Lorenzo Corti alla chitarra e Marco Ferrara al basso. Particolarmente adatti a questa dimensione risultano i pezzi del primo album come “Raso e Chiome Bionde” o un’intensa revisione di “Senza disturbare”, racconto di un colloquio di lavoro al femminile tragicamente realista, eseguita da lei da sola ad accompagnarsi con la chitarra, colorandola di inflessioni che ricordano piacevolmente Patti Smith. Tra i pezzi dell’ultimo album particolarmente struggente è l’interpretazione di “ Dove sei tu”, sull’ineluttabile distanza nel rapporto tra un uomo e una donna. O ancora, la versione live di “Triathlon” molto diversa dal remix Casasonica. Nei rapporti fra le persone così come nello sport conta la disciplina, applicarla con metodo porta a decisioni importanti come l’interruzione di un rapporto; l’autoregolazione del sentimento, l’abitudine ad allenare il cervello in situazioni estreme apre porte insospettabili. E permette il riscatto da chi ha trasformato pianure in salite devastanti. Riporta al sorriso “Salti Nell’aria” dedicata ai bambini, con un invito a non perder mai il sorriso e l’immaginazione.

Si esce dal teatro tra nebbia e odore di pioggia, ma con il sole che ti scalda il petto. Come un nuovo inizio.

 

Elisa Russo, Il Piccolo, 11 gennaio 2004

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