DELIRI ESTIVI, PUNTATA 1: IN VIAGGIO

 

«Sì, c’è la morte in questa impresa della caccia, l’indicibilmente fulminea, caotica spedizione di un uomo nell’Eternità. Ma con questo? Io credo che abbiamo preso un grosso abbaglio in questa faccenda della Vita e della Morte. Credo che ciò che chiamano la mia ombra sulla terra sia la mia sostanza vera. Credo che nel guardare alle cose spirituali noi siamo come ostriche che osservano il sole attraverso l’acqua e ritengono quell’acqua densa la più sottile delle atmosfere. Credo che il mio corpo sia soltanto la feccia del mio essere migliore. Di fatto, prenda il mio corpo chi vuole: prendetelo, non sono affatto io. E allora tre evviva a Nantucket, e venga la lancia sfondata, e il corpo sfondato, quando vogliono, poiché, di sfondarmi l’anima, nemmeno Giove è capace».

Herman Melville, Moby Dick o la Balena (traduzione di Cesare Pavese, Adelphi Ed.)

 

Leggere o ri-leggere Moby Dick è stato un bel viaggio, in una «eterna terra incognita». Uno di quei famosi viaggi della mente e dello spirito che bisognerebbe concedersi più spesso. È un libro denso, difficile. Che mi ha accompagnato in un periodo, lo spiego tra un po’ (forse), di smarrimento notevole.
Comunicazione (quasi) di servizio:
da quando ho questo sito (un regalo di Dorina di inizio 2012 e su cui ho riportato gli articoli dal mio vecchio blog) non mi viene da scriverci su robe mie, “tanto per…”.
Le vecchie robe più personali (file under “deliri diaristici adolescenziali”) le ho eliminate.
Puà.
La voglia di mettere a sventolare le mie mutande a mo’ di bandiera non l’ho mai avuta e ora men che meno.
Ora un po’ ci provo, perché DDD versione radio è sospesa (fino a dicembre e poi chissà…, anche se ci saranno degli speciali DDD all'interno di In Orbita, con cadenza di cui al momento non vi so dire) ed io ho bisogno di uno sfogo. Nasce così, qui ed ora, DDD estate/autunno 2012, versione solo per il sito. In cui farneticherò a briglia sciolta (sventolando un po’ di mutanda, anche). Se magari ci metto dentro un po’ di musica, cinema, letture non sarebbe male. Ma vediamo. Libertà totale. Per il puro gusto di scrivere, senza rivolgermi ad un pubblico.
La mia terapia.
Intanto oggi c’è sullo sfondo Melville.
Nientemeno.

In questi mesi ho messo in discussione molte cose e molti rapporti, che davo per scontati ma che non mi soddisfacevano.

In questi mesi, per dirla tutta e sincera, sono morta.
Non è la prima volta che muoio, quindi non mi sono spaventata più che tanto.
Le istruzioni genetiche per la resurrezione le ho.
Dalla mia, vanto una certa dignità in questi processi: mi ritiro nel bosco come fanno gli animali feriti che vanno a morire lontani dal branco.

Tara McPherson The Guilt Will Eat You Alive... If You Let It
Tara McPherson The Guilt Will Eat You Alive... If You Let It

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La festa di In Orbita è stata bella per certi versi, per altri mi ha fatto capire che certe cose per me sono finite.
Ovvero: non sono il genere di persona che trova gioia nella ripetizione e reiterazione. Ho bisogno di un cammino che permetta un’evoluzione, un passaggio a stadi successivi.
Ci deve essere un ricambio generazionale, io non voglio ritrovarmi tra dieci anni negli stessi posti, agli stessi concerti, ad intervistare gli stessi personaggi che mi raccontano le medesime questioni. Ho portato in concerto a Trieste il mio artista preferito due volte, in due situazioni diverse (Tetris ed Etnoblog)? Bene, bella soddisfazione. Ma non aspiro certo al non c’è due senza tre. Voglio fare altro.

In un momento in cui tutto andava apparentemente bene e avevo l’affetto di persone speciali, sono caduta nel vuoto. Non mi bastava.
Nulla importava più.
 

«Ci sono certe bizzarre circostanze e occasioni in questa strana e caotica faccenda che chiamiamo la vita, che un uomo prende l’intero universo per un’enorme burla in atto, sebbene non riesca a vederne troppo chiaramente l’arguzia, e sospetti anzichenò che la burla non sia alle spalle di altri che le sue. Tuttavia, nulla c’è che scoraggi e nulla sembra degno di discussione. Egli ingolla tutti gli avvenimenti, tutti i culti, le fedi e le persuasioni, tutte le cose difficili visibili e invisibili, non importa quanto indigeribili, come uno struzzo dallo stomaco robusto inghiotte pallottole e pietre focaie. E quanto alle piccole difficoltà e afflizioni, le prospettive d’improvvisa rovina, di pericolo nella vita o del corpo, tutto questo, e persino la morte, gli sembrano ingegnosi e amichevoli colpi, allegre spunzonature nei fianchi, somministrati dall’invisibile e inspiegabile vecchio mattacchione. Questa bizzarra specie di umore capriccioso di cui parlo viene a un uomo soltanto in certe circostanze di estrema tribolazione, viene nel bel mezzo della sua serietà, cosicché ciò che poco prima gli sarebbe potuto apparire una cosa di grandissima importanza, ora gli pare soltanto parte della burla universale».
«Come questo spaventevole oceano circonda la terra verdeggiante, così nell’anima dell’uomo c’è un’insulare Tahiti, piena di pace e di gioia, ma circondata da tutti gli orrori della vita a metà sconosciuta. Che ti protegga Iddio! Non allontanarti da quest’isola, ché potresti non tornare mai più».

 

Tara McPherson, Dream A Little Dream, Page 1 of 3
Tara McPherson, Dream A Little Dream, Page 1 of 3

Tara McPherson Dream A Little Dream, Page 2 of 3
Tara McPherson Dream A Little Dream, Page 2 of 3

 

Tara McPherson Dream A Little Dream, Page 3 of 3
Tara McPherson Dream A Little Dream, Page 3 of 3

Allora sono andata in esilio volontario.
Perché ho bisogno di isolamento, per pensare pensare pensare.
Io sono lucida.
Anche nel dolore più pungente.
Non perdo mai la visione.
Esiste un punto in cui il dolore diventa così forte da neutralizzarsi: supera la soglia massima consentita e fa talmente male da anestetizzarsi da sé.
Io ho raggiunto quella soglia, quella soglia che se fosse un dolore fisico, sopraggiungerebbe lo svenimento.
E sono rimasta sveglia, lucida, con gli occhi aperti.
Tutto era Niente per me.
Vedevo e sentivo il Niente in ogni fibra del mio corpo.
E ho capito di non voler essere la Regina del Niente.

 

«- Non so precisamente che cosa l’abbia preso, ma si tiene chiuso in casa, come se fosse malato, eppure non sembra. Difatti non è malato, no, ma non è nemmeno a posto. Ad ogni modo, giovanotto, non sempre vuole vedere me, e non credo che voglia vedere te. È un uomo strano il capitano Achab, dice qualcuno, ma è un brav’uomo. Oh, vedrai che ti piacerà, non avere paura. È un uomo grande, non è religioso e pare un dio, il capitano Achab; non parla molto, ma quando parla potete starlo ad ascoltare. Bada, sei avvertito tu: Achab è fuori dal comune (…)».

 

“La mia solitudine fa paura”,
mi scrisse qualcuno (che era, è e sarà qualcuno in una univocità che – quella sì – fa paura).
Era l’estate del 2008.
E perché la ricordo ancora?
Perché da allora trattengo la risposta dentro:
“Tsé… dici così solo perché non hai visto la mia solitudine”.
Mi torna in mente spessissimo, nei momenti di solitudine quotidiana autoinflitta.
Sono rimasta lucidamente sola.

 

«Che Dio t’aiuti vecchio: i tuoi pensieri hanno creato in te una creatura, e a colui che dal pensiero intenso è così trasformato in Prometeo, un avvoltoio divora il cuore per sempre, e quest’avvoltoio è la creatura stessa ch’egli ha creato».

 

Ho coltivato solo il desiderio, ed il desiderio stesso è diventato più importante dell’oggetto desiderato. L’incompiuto ha avuto la meglio, con tutta la sua ampia gamma del “avrebbe potuto essere”. Ignorando ciecamente tutto ciò che era in atto, reale, vitale, pulsante attorno a me. Quando si dice costruirsi da sé le proprie prigioni.

 

«È una cosa dolorosissima, ripugnante anzi, mettere in luce il crollo del valore di un’anima. Gli uomini possono sembrare detestabili presi in società commerciali e in nazioni, possono esserci tra loro dei furfanti, degli stupidi e degli assassini, possono avere facce vili e sparute, ma l’uomo, nell’ideale, è così nobile e così splendido, è una creatura così grande e radiosa, che sopra ogni sua macchia d’ignominia tutti i compagni dovrebbero correre a gettare i loro mantelli più preziosi».

Il problema è questo: molte persone si sostengono a vicenda, si rafforzano nell’altro.
Non io.
Io tendo a strabordare.
Ho un bisogno di dare e ricevere che va oltre lo standard umanamente accettabile.
Qualsiasi rapporto affettivo è per me fonte di dolore, preoccupazione e quindi debolezza.

 

«La vera forza non toglie mai alla bellezza o all’armonia, spesso anzi dona; e in tutto ciò che è sovranamente bello la forza ha larga parte dell’incantesimo».

 

Ho dato una dritta che dovrei applicare anche a me: “se senti retrogusto di merda, allora non è amore”.
Io se soffro, ora come ora, fuggo.
Perché non posso più permettermi di essere sopraffatta.
Ho imparato il meccanismo.
Ho esaurito i bonus.
Mi sono ritrovata ciclicamente nella stessa situazione, negli ultimi 5 anni.
Sempre. Amore univoco.
So per certo che la prossima volta mi esploderà il cuore.
Boom.
Mi esploderà il cuore e morirò.
Lo so per certo.
E non me lo posso permettere.
Ho esaurito le morti del cuore.

Tara McPherson, Lonely Hearts Gang, Part 1
Tara McPherson, Lonely Hearts Gang, Part 1

«ciò che si dice nell’ardore si disdice da sé».

 

 

È una manovra difensiva estrema, ma siccome io sono estrema nei sentimenti devo essere radicale negli interventi.

Questo è quello che ho passato, in questi mesi.

Lo scrivo qui perché sono in viaggio, ho in programma diverse tappe e mi pareva giusto fissare per iscritto il mio punto di partenza, il mio bagaglio. È il momento giusto per andare davvero lontano.

E tra le righe voglio semplicemente scusarmi con chi si è sentito respinto o non considerato. Per le mail, le telefonate, gli inviti, gli sms a cui non ho risposto. Semplicemente non c’ero.

Tara McPherson, Ace and Ion Go Space Mining
Tara McPherson, Ace and Ion Go Space Mining

 

Sono in viaggio, io.
Non si torna indietro.
Sento che qualcosa è cambiato, dentro.
Ho faticato talmente a raggiungere questo grado di consapevolezza che non posso permettermi di cedere.
Ora sono in marcia e non mi fermerò per nessun motivo, potrò rallentare un po’ quando i piedi mi faranno male ma non mi fermerò. Senza lagne. Op op op. E via andare.

 

Tara McPherson, The Weight of Water, Part Three
Tara McPherson, The Weight of Water, Part Three

 

«Ma Salomone stesso dice: “L’uomo che s’allontana dalla via della sapienza, resterà” (vale a dire anche da vivo) “nella congregazione dei morti”. Non abbandonarti dunque al fuoco, che potrebbe invertirti e tramortirti, come fece di me quella volta. C’è una saggezza che è dolore; ma c’è un dolore che è follia. E in certe anime c’è un’aquila dei Catskill che può egualmente precipitarsi nei burroni  più oscuri e tornare a librarsi in alto e scomparire negli spazi solari. E anche ove essa voli per sempre nel burrone, questo burrone è dei monti, e così, nella sua più bassa discesa, l’aquila montana è sempre più in alto che gli uccelli della pianura, anche quando questi salgono».

 

Elisa Russo, Lunedì 02 Luglio 2012. Tutte le citazioni sono tratte da Melville, “Moby Dick”. L’illustrazione di copertina è di Tara McPherson e s’intitola Hey We All Die Sometimes. 

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