Cominciamo la seconda puntata dei Deliri Estivi con il concetto di licenza poetica? Cioè, prendetemi con le pinze. O almeno, prendetemi metaforicamente, non alla lettera. Lo dico perché dopo la prima puntata qualcuno mi ha chiesto: ah ma sei morta? Ah ma sei in viaggio, quindi non sei a Trieste? Ebbene, si parlava di viaggi metaforici, Melville, Moby Dick, l’elevazione dell’anima… Mentre spiegavo questo concetto ad una persona, del mio desiderio di evoluzione, stadi successivi, purezza dello spirito etc mi sono ritrovata nella merda. Ecco, questa leggila proprio alla lettera. Non è una metafora. Si sono intasate le tubature ed il cesso è tracimato. Quindi immagina i titoli dei giornali: “aspirante scrittrice cerca di elevarsi spiritualmente ma muore inondata dalla merda”.
Vicenda interessante, dal punta di visto simbolico.
Insomma, la vita mi dice che sono interconnessa con gli altri condomini, di otto piani, e sì sono interconnessa anche con quel genio che ha buttato nel water un pannolino da neonato. O un pannolone da anziano. Osalaminchiacosa. È uguale. Ovvero: per quanto tu possa fare le cose a modo e buttare diligentemente i rifiuti nel tuo bel sacchetto dell’immondizia, rischi sempre di essere compromessa dal comportamento altrui. Per quanta acqua fresca e pulita tu possa far scorrere, c’è sempre il rischio che la merda torni a galla. Perché non l’hai eliminata davvero. Da qualche parte, continua a vivere. Di vita propria.
Punto secondo: quando scrivo non parlo di te. Non andare in delirio identificativo. Per quanto possa trarre ispirazione dalle persone e dalle situazioni che mi circondano, cerco sempre di esprimere qualcosa di universale. Moby Dick, cazzo! Dirò di più: per quanto di me possa emergere da ciò che scrivo, non pensare di conoscermi perché mi hai letta. Io sono altro e quelle due tre cose davvero vitali che mi girano nella testa e nel cuore non le tiro fuori e me le porterò nella tomba, come i segreti veri. La verità pura 100% ti può stecchire, è meglio andarci piano con le dosi.
Poi va bene tutto, nel senso che non pretendo un grado di attenzione tale da essere compresa, e non sento questo bisogno. Sono anche scorpione, (per chi non lo sapesse, gli scorpioni sono gente che pensa nessuno al mondo possa capirli). Quello che desidero è che chi mi legge trovi semplicità e comprensibilità nella forma e nell’esposizione. Poi se passa qualche contenuto, tanto meglio; ma ripeto: a livello universale e non personale.
Prendeteli un po’ come testi di canzoni: magari c’è sotto un significato preciso ma potete anche astrarli, interpretarli. Insomma, licenza poetica.
In realtà, io oggi non volevo parlarvi di merda vera, tuttalpiù di quella metaforica. Ma è evidente che qui i piani si stanno mescolando di continuo.
Vi volevo ricordare che succedono cose del genere. A Mosca:
Lo scorso febbraio tre ragazze della band punk russa Pussy Riot sono state arrestate in seguito a un blitz anti-Putin organizzato nel sagrato della chiesa del Santissimo Salvatore, mentre cantavano “Oh Madonna, liberaci da Putin”. L’accusa è di teppismo e vilipendio dei luoghi sacri: rischiano 7 anni di carcere.
Sette anni.
Le Pussy Riot portano avanti in Russia il movimento delle riot grrrls sulla scia delle Bikini Kill. Sono state arrestate semplicemente per aver suonato musica punk rock schierandosi contro Putin. Nonostante la presa di posizione di Amnesty International e lo sciopero della fame perpetrato dalla ragazza in carcere, i media non hanno dato un grandissimo risalto alla questione. Quindi così, un pensiero da riot girl ci stava. Fatelo anche voi, un pensiero sulla questione.
Grazie.
Perché anche io, come ha scritto Gianni Miraglia, “tengo sempre per i più incomprensibili”.
E per concludere le riflessioni sulla solitudine aperte nella prima puntata, sta volta mi faccio aiutare da Scipio Slataper, “Il Mio Carso” (Ed Mursia). Anche per chiudere in maniera più alta una puntata cominciata un po’ di merda. (Ah, questa mia eterna lotta tra merda ed elevazione).
«Avevo bisogno di star solo. Andavo per le strade poco frequentate, nell’ombra di alti casamenti rettangolari, e mi guardavo intorno spiando di lontano il viso dei passanti. Temevo d’esser conosciuto, d’esser salutato, di dover salutare. Un amico mi mandò una cartolina: perché non gli scrivevo? Poiché non vuoi, non vengo. Ma non è bello che tu sia così scontroso ed egoistico nel tuo dolore. Proprio ora l’amicizia ti farebbe bene. – Tutte buone care persone: ma io ero in cerca di lontananza».
«Dentro di noi si accumulano molte nausee e schifi, e un giorno escono e ci appestano l’aria che respiriamo. Secca assai vestirsi, mangiare, alzarsi dalla sedia. Ed è inutile; ma è meglio non turbare le abitudini e mettere un piede davanti all’altro perché ci hanno insegnato a camminare. Soltanto non porre ostacoli alla noia, perché allora il pensiero s’agita e fa patire; ma se no, la vita procede calma, senza scosse né sussurri. Silenzio e pace. Si cammina per le strade senza far rumore. Non bisogna svegliare. La gente dorme, male, bene, ma dorme. Nessuno ha il diritto di svegliare il sonno di nessuno».
«La notte; le stelle impallidenti, il sole caldo; il tremar vespertino delle frasche; la notte. Cammino.
Dio disse: Abbia anche il dolore la sua pace.
Dio disse: Abbia anche il dolore il suo silenzio. Abbia anche l’uomo la sua solitudine».
«Io solo, quassù, solo, sono sincero; ma anche la solitudine e la sincerità non bastano. Non basta sapere. Io penso in parole che gli altri pensano. È necessario morire. Solo questo è indispensabile: essere».
E ora: trovate voi un'altra persona capace di passare da un cesso intasato alle Pussy Riot a Slataper, trovando il tutto assolutamente logico.