A DDD mi occupo spesso di libri musicali. Quello di cui parlerò oggi è uno di quelli che in assoluto mi hanno presa di più, ultimamente. Si tratta di “Tutto qui, La storia dei Massimo Volume” scritto da Andrea Pomini e uscito per Arcana. Mi è piaciuto molto anche perché racconta una storia che ho seguito fin dagli albori (i Massimo Volume e poi i libri di Emidio Clementi sono stati un innegabile amor di gioventù. E grazie a loro ad un certo punto ho scoperto Emanuel Carnevali, che non è poco). Il libro è costruito sotto forma di intervista ai protagonisti ed è molto bello leggere diversi punti di vista.

Emergono tante piccole verità sul mondo della musica. Che anche nelle migliori famiglie si litiga, ci si ama fino ad odiarsi, a volte è necessario separarsi come accade nelle coppie in cui ad un certo punto serve non necessariamente qualcosa di meglio, ma qualcosa di diverso. Poi ognuno ha bisogno di fare i suoi percorsi, e magari ci si rincontra. Come è successo ai Massimo Volume, riunitisi per alcuni concerti nel 2008 e con un nuovo disco (dopo ben 11 anni dal precedente) molto ispirato: “Cattive Abitudini” uscito da poco per la Tempesta Dischi.
Scrive Pomini: “Si tratta di uno dei gruppi rock italiani più importanti degli anni Novanta, e di sempre. L’ultimo o quasi in ordine di tempo a far genere a sé, anzi a creare e uccidere un genere nello stesso istante: nulla di simile prima, tutto simile dopo. Si tratta, soprattutto, di un gruppo capace di descrivere le vite di quelli che ascoltano con parole che essi non sono stati capaci di trovare. E di cambiare quelle vite immediatamente e irrimediabilmente. Ci sono due tipi di artisti importanti: quelli che arrivano da lontano, piombando tra noi come alieni con notizie spiazzanti e meravigliose, e quelli che arrivano da lontano, ma dentro di noi, che viviamo ignari di nasconderli finché non si manifestano. Proprio da lì arrivano i Massimo Volume. Arrivarono e scoperchiarono le nostre vite insieme alle loro, dispensando brividi ignoti, evocando sorprese e cose non dette, giovinezza che arriva e va via in un istante. Credo che in quel periodo la mia vita fosse tutta lì, direbbe Clementi”.
O ancora “Parafrasando ‘Ravenna’, ci abbiamo provato, e ce l’abbiamo fatta”.
Tra le parti che mi hanno colpito di più, ci sono quelle in cui Mimì e gli altri parlano della discrepanza tra come l’artista è e come viene percepito. Che le rockstar sono solo persone ce l’aveva già insegnato Lester Bangs, ma non tutti erano presenti a quella lezione. E purtroppo spesso c’è ancora qualcuno che si aspetta che un musicista caghi oro quando va al bagno. Fantastico l’episodio citato nel libro in cui stanno litigando dopo un concerto e Vittoria sta praticamente picchiando Mimì; arriva una fan a chiedere foto e autografo. E Vittoria, gentile: “Non vedi che stiamo discutendo”. E la fan se ne va delusa, bofonchiando: “Ah ma allora è vero che ve la tirate”!
Clementi:
“Le persone si aspettavano spesso un altro personaggio, e rimanevano deluse conoscendomi. Si aspettavano una profondità diversa, una ieraticità che non ho mai avuto. Si immaginavano personaggi molto intensi, ma era un’intensità che non avevamo ventiquattro ore su ventiquattro, e magari in furgone invece di leggere poesie stavamo sintonizzati su Tutto il calcio minuto per minuto! In un primo momento mi trovai a disagio, pensavo di dover apparire diverso, ma da un certo punto in poi cominciai a difenderla, la mia mediocrità. Iniziò ad innervosirmi l’atteggiamento di chi si aspettava da me qualcosa di diverso da quello che ero”.

Altra cosa che ci tocca da vicino: la musica live in tv. Ad un certo punto Clementi, parlando di Red Ronnie che li aveva fatti passare un po’ per casi umani ma comunque li aveva fatti suonare e quindi esprimersi al meglio, conclude:
“Ci passarono tutti i gruppi del periodo, tutti, non era necessario fare chissà che vendite. Chi potrebbe chiamarci in televisione oggi? Dove potremmo andare? All’epoca Red Ronnie ci sembrava una schifezza, ma adesso?”.
e poi aggiunge Vittoria:
“Non c’era ancora contrapposizione, non c’erano artisti di qua e artisti di là, era tutto molto più ingenuo. Con l’arrivo di Mtv qualche anno dopo cominciammo a essere ostracizzati, non accolti nel loro consesso. Il video di Privè non lo presero. Non andava bene niente, e fondamentalmente non andavamo bene noi, il nostro mondo. Era una televisione per adolescenti tutti uguali, non potevamo entrarci”.
Egle, che abbiamo anche conosciuto in un live a Tv e Radio Capodistria con i Blake3e è un grandissimo. Punto. Dice:
“Non ho mai creduto a questa cosa dell’artista. Cioè, mi piacciono gli artisti, ma non mi piacerebbe diventare un artista. Mi piacerebbe essere un artigiano, ho sempre puntato a quello. Uno fa un tavolino, io ti faccio un brano che sta in piedi, oppure che serva”.
C’è poi una parte mooolto interessante sulla discografia, con i protagonisti della Mescal a raccontare vari retro scena, come ad esempio di quanto poco lungimirante fosse la Wea che bocciò gli artisti Mescal così: i Massimo Volume non sarebbero andati da nessuna parte perché avevano uno che recitava invece di cantare, Cristina Donà non serviva perché c’era già la Consoli, i Subsonica erano un clone dei Casino Royale e “gli Afterhours sono già finiti in partenza: qui a Milano ci sono i Ritmo Tribale, e li abbiamo noi”.

Cecio:
“A vent’anni io e Mimì ci facevamo sempre una battuta l’uno con l’altro, quando vedevamo queste persone di quarant’anni che stavano dietro al bar al Link, oppure frequentavano ancora quei posti: “Se dovessi vedermi qui a quell’età, ammazzami”. Ogni cosa ha il suo tempo, ha senso nella sua epoca”.

Un ruolo importante nella storia dei Massimo Volume l’ha Manuel Agnelli, protagonista di un’amicizia travagliata con Mimì e anche produttore di Club Privé. Agnelli è uno che va in brodo di giuggiole quando vede uno che fa un lavoro pesante (Mimì che faceva i traslochi, Edda che fa i ponteggi) invece che il rocker figlio di papà. Dei 4 bolognesi dice:
“Una delle cose che apprezzavo di più, ai tempi, era la capacità delle persone di essere vere, al di fuori del loro personaggino. Perché per difendersi in questo panorama abbastanza difficile della musica italiana, spesso le persone si costruiscono dei personaggi abbastanza rigidi. Nessuno viene preso sul serio, quindi stanno tutti lì a enfatizzare la serietà delle cose che fanno, finendo per essere grotteschi. Loro non avevano paura di non essere presi sul serio”.

Mimì:
“Di Milano non mi piaceva niente. Tutti passavano in studio perché in quel momento bisognava passare, era diventata la cosa da fare, era sempre pieno di gente, era sempre pieno di gente che era lì a fare un cazzo. E passava Morgan, e passava la Maugeri, e passava quell’altro. Tutto molto dispersivo. Aspettavamo delle ore Manuel, che doveva essere lì alle due e arrivava alle sei”.

Per concludere, una bella citazione di Dario Pasini (per un periodo chitarrista dei Massimo Volume):
“Quelle di Emidio sono parole che hai come una sensazione epidermica, come sintomo. Lui è il dottore che arriva e ti dà la diagnosi: questo hai, questo volevi dire”.

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