New York, ultimi scampoli degli anni sessanta, l’atmosfera è effervescente. Patti e Robert stanno passeggiando, sono in città per festeggiare l’Estate Indiana. Incrociano una coppia di anziani, che si ferma a osservarli esterrefatti. “Fagli una foto,” dice la donna. “Perché?” risponde il marito.”Sono ragazzi.” Solo ragazzi. Just kids. Patti Smith sa guardarsi alle spalle e lo fa senza risparmiarsi, con la placata esuberanza dell’artista che ha raggiunto le vette del successo e della sua arte, e con la passione disincantata di chi attraverso la fama ha imparato a conoscere luci e abissi. In “Just kids” (Feltrinelli), la Smith ripercorre i sentieri che dall’infanzia a Chicago la portano a New York dove incontra Robert Mapplethorpe. Lei con la letteratura nella testa e la musica ancora da scoprire, lui non ancora fotografo, cattolico, alle prese con la propria, nascente, omosessualità. Intrecciano un cammino di arte, di devozione e di iniziazione. Insieme scoprono che rock, politica e sesso sono gli ingredienti essenziali della rivoluzione a venire. Il vero collante tra Patti e Robert è l’amicizia. Un’amicizia rara, pura, preziosa. Un patto esplicito di reciproco sostegno, fondato sulla condivisione di sogni, di visioni, di idee. Di arte. Just kids è la confessione di una delle più grandi protagoniste del rock americano, di un’originale poetessa, di una musa, di una donna che ha saputo vivere ai margini delle convenzioni senza precipitare nella maledizione.

Libro consigliatissimo, pieno anche di belle foto.

Citazioni:
“Ridevamo spesso di noi da piccoli: ci dicevamo che io ero stata una bimba cattiva che si era sforzata di essere buona, e lui un bravo bambino che si era sforzato di essere cattivo. Nel corso degli anni i nostri ruoli si sono invertiti, poi invertiti di nuovo, finché non abbiamo accettato la nostra natura duplice. Entrambi racchiudevamo principi opposti, luce e tenebra.
Ero una bambina sognante e sonnambula. La mia precoce capacità di lettura appaiata all’incapacità di applicarmi a una qualunque attività ritenuta pratica faceva imbestialire i miei insegnanti. Uno dopo l’altro annotarono nelle mie pagelle quel mio fantasticare a occhi aperti, il mio essere sempre altrove; dove fossi non saprei dire, spesso però finivo per ritrovarmi seduta su un alto sgabello di fronte a tutti gli altri con un cappello a forma di cono in testa”.

“Guadagnai parecchi centimetri in altezza. Arrivai quasi a uno e settantacinque, senza pesare neanche cinquanta chili. A quattordici anni non ero più il comandante di un esercito esiguo e tuttavia fedele, ma soltanto una sfigata pelle e ossa, il bersaglio sempre più frequente del ridicolo mentre, al liceo, finivo sul più infimo gradino della scala sociale. Mi immersi nei libri e nel rock’n’roll, la salvezza per i giovani del 1961”.

“Quando disegno rimango nudo. Dio mi tiene per mano e assieme cantiamo” Il manifesto d’artista di Robert.

“il Fato tramava per aiutare i suoi figli entusiasti”.

“Io e Robert avevamo ancora la nostra solenne promessa. Nessuno avrebbe abbandonato l’altro. Non lo vidi mai attraverso la lente della sua sessualità. La mia immagine di lui rimase intatta. Era l’artista della mia vita”.

“Jesus died for somebody’s sins but not mine.
Avevo scritto quel verso anni prima, come una dichiarazione d’esistenza, quasi si trattasse del giuramento di assumermi la responsabilità delle mie azioni. Cristo era un uomo a cui valeva la pena di ribellarsi, poiché era stato un ribelle lui stesso”.

In Horses Patti Smith dice di aver messo:
“la gratitudine che dovevo al rock’n’roll per avermi fatto superare un’adolescenza difficoltosa; la gioia che provavo nel ballare; la forza morale che scoprivo nell’assumermi le responsabilità delle mie azioni”.

Il libro è pieno di retroscena di episodi che hanno fatto la storia della musica, come la nascita della foto che sarebbe diventata la copertina di “Horses”:
«Io avevo in mente il mio aspetto. Robert aveva in mente la luce. Tutto qui.
L’appartamento di Sam era spartano, bianco e quasi sgombro, con una grossa pianta di avocado attorno alla finestra che affacciava sulla Quinta Avenue. Un enorme prisma rifrangeva la luce spaccandola in arcobaleni che ricadevano sulla parete di fronte a un termosifone bianco. Robert mi posizionò nel triangolo. Si preparò con un leggero tremolio alle mani. Scattò qualche fotografia. Abbandonò l’esposimetro. Una nuvola passò e il triangolo svanì. Mi disse: “Sai una cosa, mi piace molto il biancore della camicia. Ti toglieresti la giacca?”.
Mi gettai la giacca in spalla, alla Frank Sinatra. Avevo un mucchio di riferimenti visivi. Robert possedeva luce ed ombra.
“Eccola”, disse.
Scattò qualche fotografia.
“Ce l’ho”.
“Come fai a saperlo?”
“Lo so e basta”.
Quel giorno scattò dodici fotografie in tutto.
Dopo qualche giorno mi mostrò i provini. “Questa ha la magia” disse.
Ancora oggi, quando la guardo, non vedo me stessa. Vedo noi».

“Il suo ultimo obiettivo era padroneggiare la luce e raggiungere il più fondo dei neri”.

“Un tardo pomeriggio passeggiavamo per l’Ottava Strada quand’ecco Because The Night risuonare di negozio in negozio. Era nata una collaborazione con Bruce Springsteen, il singolo dall’album Easter. Robert l’aveva sentita per primo, subito dopo la registrazione; gliel’avevo fatta ascoltare per un motivo ben preciso: era quello che aveva sempre desiderato per me. Nell’estate del 1978 la canzone arrivò al numero 13 della classifica Top 40, ed esaudì il sogno di Robert di vedermi un giorno realizzare una hit.
Lui sorrideva e camminava a tempo con la canzone. Tirò fuori una sigaretta e l’accese. Ne avevamo passate tante da quando mi aveva salvato dallo scrittore di fantascienza, (…).
Robert era sfacciatamente orgoglioso del mio successo. Ciò che desiderava per sé, lo desiderava per entrambi. Soffiò una boccata perfetta di fumo e mi parlò con quel tono che usava solo con me – di biasimo stupefatto, di ammirazione senza invidia. Il nostro linguaggio da fratello e sorella.
Patti, biascicò, “sei diventata famosa prima di me”.

Impossibile  trattenere la lacrimuccia nelle ultime pagine del libro, che raccontano le ultime ore di vita di Robert. Che rimane immortale, privilegio di pochi. Grazie alle sue foto, alla sua arte, e ora attraverso questo libro.

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