Dal 21 gennaio al 20 marzo, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici presenta la mostra Europunk, ovvero la cultura visiva punk in Europa nella seconda metà dei 70, mostrando il cambiamento rivoluzionario che hanno portato le immagini per mano di graphic designer, illustratori e agitatori, non tanto per raccontare ancora una volta la storia delle influenze musicali di questo movimento quanto per mettere in risalto il lavoro di artisti che, pur rifiutando l’idea di fare opere d’arte, hanno voluto cambiare il mondo con le loro immagini.

Era il 1976 quando i Sex Pistols si esibirono per la prima volta in televisione nel programma “So It Goes” della Granada Television di Manchester, proprio quel video apre la mostra Europunk.
Sono più di 550 gli oggetti esposti tra abiti, fanzine, poster, disegni, copertine di dischi e filmati provenienti da collezioni pubbliche e private. Il famoso volto della regina d’Inghilterra con gli occhiali e la bocca coperti dal nome dei Sex Pistols e dal titolo della loro canzone “God Save the Queen” dell’artista Jamie Reid segna il percorso espositivo, suo è anche il manifesto di “Anarchy in the UK”, come anche la custodia del disco “Pretty Vacant”, sempre della band inglese. Mentre gli stilisti Malcom McLaren e Vivienne Westwood firmano camicie e T-Shirt spregiudicate, una su tutte quella che cita “Only Anarchists are Pretty”. 

Approfitto di questa mostra per consigliare un libro uscito qualche anno fa, ma che io ho letto solo adesso. quindi magari lo potete fare anche voi.
Oh.

Johnny Rotten (con Kent e Keith Zimmerman) L’autobiografia – No Irish, no blacks, no dogs
pp.353
Arcana 2007

“Non ho tempo per le bugie e le farneticazioni, e neanche voi dovreste averne”: si apre così l’autoritratto di John Lydon, alias Johnny Rotten, voce e icona della punk band che nel 1977 mise a ferro e fuoco il Regno Unito e il mondo intero: i Sex Pistols. E, fedele alle premesse, questa autobiografia a più voci, ricca di humor, oscenità e furore, ripercorre con dissacrante onestà le tappe pubbliche e private che hanno portato alla rivolta di classe, di stile, di ethos di una generazione senza futuro.
Dall’infanzia a Finsbury Park alle sortite calcistiche con la “gang dei John”, al ritratto divertito delle sottoculture che popolavano i sobborghi londinesi e della King’s Road di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood, che escono piuttosto malconci dal racconto, Lydon disegna una vera e propria storia sociale dell’Inghilterra degli ultimi cinquant’anni, riaffermando l’importanza dell’individualità e della fedeltà a se stessi per opporsi al sistema.
E poiché “le rockstar sono prima di tutto persone come gli altri”, Rotten stupisce anche oggi alternando amaro cinismo ed argute prese in giro a toni di toccante umanità: la meningite che lo colpì a nove anni, l’amicizia difficile con Sid Vicious, l’amore per la musica condiviso con la madre, il rapporto spinoso con il padre, il ruolo della working class, delle donne, delle minoranze razziali, l’identità degli irlandesi, “fiori nella pattumiera” della corona inglese.
Questo libro è una controstoria del punk che getta alle ortiche senza tanti complimenti miti e leggende, l’affresco di un’epoca attraverso testimonianze di amici e nemici, colleghi e comprimari – ad esempio Billy Idol, Chrissie Hynde, Julien Temple -, ricomposto con un montaggio serrato e non privo di contraddizioni. Ma, come sostiene Sua Bassezza Johnny Rotten, la contraddizione è la forma d’arte per eccellenza.
“E ora, divertitevi o crepate…”.

Citazioni

J.Lydon sul concetto di punk inteso come anticonformismo puro:
«L’unica violenza dei Sex Pistols era la rabbia. Nient’altro. Ai nostri concerti non c’erano morti. La cosa che mi faceva più incazzare, dei Sex Pistols, erano gli spettatori che si presentavano tutti con lo stesso completo punk perfettamente identico. Vanificava tutto il senso. Quella non gliel’avrei mai fatta passare, perché dimostrava che non avevano alcun senso di individualità, oppure non capivano quello che stavano facendo. Noi non predicavamo il conformismo». (pp.13-14)

Ancora Lydon sull’importanza dell’individualità nel punk e di come il messaggio iniziale si sia perso nei gruppi “punk” arrivati negli anni successivi:
«Mi dà molto fastidio che questi gruppi di oggi, dopo quindici anni e più, dicano di essere stati influenzati dai Sex Pistols. Non è possibile, ovviamente. Gli sarà sfuggito qualcosa. Non indossi l’uniforme sbrindellata della piattezza, se ti interessano davvero i Pistols. È tutta questione di essere te stesso! Di essere un individuo, cazzo». (p.106)

Secondo Howard Thompson (talent scout discografico), ciò che è rimasto del punk è lo spirito do it yourself:
«Si verificò un significativo spostamento di potere che esiste ancora oggi, e spiega band come i Fugazi, il movimento delle Riot Grrrrl, le Bikini Kill, le Brat Mobile… una forte coscienza politica che oggi continua con le band al punto che a volte sono in grado di fare tutto da sole, creare le proprie etichette, far pagare soltanto cinque dollari per l’ingresso di tutti i concerti che fanno, tenere basso il prezzo in modo che il pubblico possa seguirle alle sue condizioni. Quella parte della rivoluzione innescata dai Pistols è rimasta». (p.107)

Thompson su J.Lydon:
«Una sera mi trovavo per caso al bar a chiacchierare con degli amici, e stavamo discutendo del punk, che all’epoca era quasi sul punto di esplodere. La mia opinione era che in tutti i generi musicali, ci dev’essere una certa dose di disciplina. Appena sentì la parola disciplina, una persona che era un paio di metri dietro di me si girò di scatto e disse: “Disciplina? Non c’è bisogno di disciplina, coglione!”.
Era Johnny Rotten al quale dissi: “Bè, forse tu non avrai bisogno di disciplina, ma se vuoi andare lontano, qualcuno dovrà organizzare le cose e mettere insieme tutta questa eccitazione in modo appropriato, così tutti potranno apprezzarla”». (p.112)

L’opinione di Lydon sul cinema della trasgressione:
«(…) il tipo che le aveva organizzate metteva su questi folli film di Kenneth Anger prima che salissimo sul palco. Tutta la serata era estremamente esilarante. In origine quei film erano pensati per essere perversi, ma in quell’ambiente diventavano comici, profondamente divertenti. Mi piaceva l’idea di prendere tutta quella decadenza e riderci su. Avevamo l’impressione che a New York ci sguazzassero dentro e la prendessero sul serio. La mettevano in un contesto intellettuale. I film porno e roba del genere mi divertono molto. Non capisco come fa la gente a non considerarli comici». (p.115)

Lydon è sempre stato molto critico nei confronti dei più diretti “avversari” dei Pistols, i Clash (e anche nei confronti dei Damned):
«I Clash introdussero l’elemento competitivo che trascinò giù un po’ tutto. Per noi non è mai stato così. Noi eravamo i Pistols e basta. Non ci siamo mai considerati parte di un movimento punk. Ci vedevamo solo come i Pistols, e quello che facevano gli altri non contava niente. Molto francamente, loro non c’erano all’inizio. Non hanno gettato loro le fondamenta. Sono semplicemente arrivati e si sono accomodati sulla nostra scia. Rat Scabies dei Damned diceva sempre: “il mio gruppo è meglio di voi!”. Sì, Rat. Prima faceva il roadie per noi. Ma va là. Era chiarissimo che noi non eravamo le superstar distanti che vedevi  su un palco enorme a quattrocento chilometri dal tuo posto a sedere. Eppure tanti gruppi che vennero dopo saltarono sul carro di merda delle superstar megalomani». (pp.118-119)

Anche il batterista Paul Cook commenta la rivalità Pistols-Clash, secondo lui costruita (o comunque alimentata) ad arte dalla stampa:
«Era la stampa ad alimentare la rivalità tra i gruppi. Anche la stampa era invidiosa dei Pistols. “Wow! Ecco i Clash. Sono molto meglio dei Sex Pistols, bla, bla, bla”. Si schierarono subito dalla parte dei Clash, perché erano più accessibili». (p.119)

La giornalista Caroline Coon non ha dubbi su quali fossero le tre band più importanti del movimento: 
«Tre band rappresentano tre diverse ramificazioni del movimento punk. C’era la politica personale dei Sex Pistols, la politica seria dei Clash, e il disimpegno camp teatrale dei Damned». (p.120)

Secondo Lydon, molte delle “mode” attribuite al punk non erano che fraintendimenti su episodi accidentali. Gli spilloni da balia sui vestiti furono utilizzati perché erano davvero poveri, con i vestiti rotti. Ecco come sarebbe nata, invece, la mania di sputare:
«La moda di sputare sul palco era partita da me. Soffrivo di sinusite, e sputavo parecchio sul palco, ma mai verso gli spettatori. Magari di lato. Ma la stampa ci saltò su, e la settimana dopo ti ritrovi col pubblico convinto che faccia parte della moda e tutti devono farlo per forza». (p.120)

Lydon su Malcolm McLaren:
«Molta stampa del Nord diceva che eravamo solo manichini e modelli per il negozio di Malcolm. Ovviamente Malcolm non smentiva nulla, anche se il suo negozio era gestito da Vivienne, e faceva tutto lei, così come lui pensava di aver scritto le canzoni dei Pistols. Viv vendeva un sacco di roba che aveva preso da tutto e da tutti, e da me in particolare. Ero arrabbiato per questo. Io mettevo insieme le cose, e lei le metteva in quel cazzo di negozio un paio di settimane dopo: prodotte in serie. E senza neanche un minimo accenno di senso di colpa». (p.122)

Il punk non inventa nulla, secondo Lydon:
«Non esistono idee completamente originali. Non è possibile. In un modo o nell’altro si rimasticano sempre. Noi prendiamo tutto quello che potevamo dagli anni Sessanta e lo violentammo. Era un’orgia aperta a tutti, e lo è ancora oggi. Alcuni di noi si vestivano in modo sciatto, il che era visto come vestirsi eleganti, ma mai Levi’s o camice tinte. Era un look da film noir giovanile, ma colorato». (p.126)

Le case discografiche erano terrorizzate dalla carica eversiva del punk:
«Con l’esplosione del punk tutte le case discografiche tremarono come foglie al vento. Ecco perché corsero fuori e misero sotto contratto qualsiasi cosa paresse lontanamente punk. Volevano assorbirlo nel sistema e farlo diventare commerciale. Non volevano lanciare il punk, ma soltanto saltargli addosso mentre esplodeva. (…)
L’autenticità li disturbava.
“Oddio ma non stanno recitando”». (pp.136-137)

«Siccome le case discografiche sono un piccolo circuito ristretto, ingaggiano solo band che rientrano nei canoni. Ecco perché l’industria musicale è così noiosa. Non perché manchino artisti o idee, ma perché mancano gli ingaggi. Le band non riescono a farsi ingaggiare, e quindi scompaiono. A volte le etichette ingaggiano le band per toglierle di mezzo. Se hanno in catalogo un solo genere musicale e intuiscono che qualcosa potrebbe spostare l’attenzione e minacciare il resto del catalogo, la mettono sotto contratto e la seppelliscono. Vedono una minaccia al loro tran tran già consolidato». (p.164)

John Lydon critica aspramente il film di Alex Cox, “Sid e Nancy”:
«Per me quel film è la cosa più ignobile che esista. Credo sinceramente che si tratti di un’apologia dell’eroina. La glorifica sicuramente nella parte finale quando quello stupido taxi vola via nel cielo. È veramente assurdo». (p.161)

«Alla gente piace farsi vendere le idee, piuttosto che farsele da soli». (p.166)

«Non volevo essere costretto ad accettare questa ridicola teoria del rock’n’roll. La musica che fai dovrebbe riflettere la tua vera personalità, la tua vera identità. Purtroppo, prima che arrivassero sulla scena i Pistols, in genere non era così, sbaglio? Un sacco di gente si adeguava a quello che credeva di dover fare. In definitiva questo distrugge i musicisti, ed è per questo che molti di loro finiscono eroinomani. Non riescono a sopportare la menzogna di tutto ciò. Quel che mi colpiva di Sid quando eravamo entrambi più giovani era che lui ne conosceva le insidie e non voleva finire così, ma chissà perché una volta entrato nel gruppo, si cacciò in quella situazione da groupie con quell’orribile Nancy Spungen. Lei lo convinse che l’eroina era quello che ci voleva. Per essere una vera star, devi armeggiare con le droghe pericolose. Così alla fine credette alla menata dello stile di vita rock’n’roll. Credeva ciecamente, assolutamente, ai Velvet Underground, a Lou Reed, a tutto quell’approccio alla vita, quella dedizione alla droga. A Sid non venne mai in mente che era solo un’immagine, che non la stavano vivendo necessariamente sulla loro pelle. Sid cominciò a diventare eroinomane da osservatore. “Caspiterina, ci dev’essere qualcosa di buono. Tutti questi grandiosi newyorkesi decadenti”. Sid, non sono grandiosi! Sono dei coglioni!». (p.172)

A volte i punk sono stati criticati per aver utilizzato simboli ed icone di estrema destra:
«Secondo voi Sid sapeva cosa rappresentasse la svastica? L’idea di Sid era che fosse volgare, e più di così non andava a fondo. Per Siouxsie o Sid non significava antisemitismo». (p.183)

«Julien Temple: Quando li vidi suonare… e il tipo di spettatori che attiravano ai loro primi concerti, mi fu chiaro che avrei dovuto smettere quello che stavo facendo e trovare un modo per lavorare con i Pistols. Era un terremoto alle prime fasi». (p.191)

«Continuo ad aspettare di vedere se qualcosa di altrettanto potente, di altrettanto significativo, accadrà di nuovo, e non l’ho ancora visto. Ci sono stati dei movimenti da allora, ma nessuno di loro ha avuto un’ideologia o una mentalità tanto potente alle spalle. Niente ha avuto la stessa determinazione e la stessa tenacia che avevano i Pistols. E non c’è più stato niente di tanto astuto. L’hip hop è troppo sessista e intollerante, il che sminuisce il fatto che è musica sperimentale e molto interessante. Anche se non in senso protestante, c’era una sorta di paradossale ideologia punk all’opera. C’erano delle regole tacite. Tutto era permesso: una regola in sé. C’erano dei confini taciti: ad esempio non dovevi per forza essere Phil Collins o Paul McCartney per fare il musicista». (pp.200-201)

«Volevo sapere tutto dell’America. Non sono uno snob; so muovermi all’interno di qualsiasi gruppo e sentirmi a mio agio, fossero anche delle vecchie che parlano di uncinetto e cucito. Si tratta sempre di esseri umani. Riesco a trovare una situazione del genere affascinante come tutto il resto. Sid, Paul e Steve avevano grosse difficoltà a capirlo. “Non è rock’n’roll”. Certo che lo è! Il rock’n’roll dovrebbe parlare a tutti! Se non coinvolge tutti, allora è settarismo». (p.257)

«Julien Temple: il ricordo più bello che ho di Sid risale a quando era ancora uno spettatore, prima che entrasse nella band. Era uno straordinario modello di punk. Ricordo di averlo visto a un concerto dei Clash. C’erano degli ubriachi nel pubblico che scagliavano grossi boccali di birra contro la band e invocavano in coro i Led Zeppelin. Da dietro il palco sbucò questa figura, Sid. All’improvviso, corse più veloce che poteva da dietro la batteria, saltò dal palco, volò in aria e atterrò in mezzo al pubblico, sopra a quei tizi, agitandosi convulsamente. Sembrava una missione kamikaze perché c’erano almeno una decina di questi grossi, enormi bevitori di birra. Sapevi che l’avrebbero massacrato di botte. Ma lui se ne fregava. Era quella la sua forza. Era senza paura con questa convinzione assoluta che gli dava una strana potenza». (p.276)

«So sempre quale sarà la mia prossima mossa. Non potrei mai evocare un desiderio di morte. Tutto ciò che ho è la vita. Non so cosa viene dopo, e francamente non ho nessuna fretta di scoprirlo. Non credevo neanche nel fare il martire tanto per il gusto di farlo. E morire per qualcosa di vagamente infantile come il rock’n’roll non esiste. Anche se il personaggio di Sid è tanto popolare, chi compra i miti di Sid non compra dischi. Sono degli spreconi. È la fissa della cultura della droga per i perdenti e i tossici, gente che si piange addosso. Io non ne faccio parte. Non ne ho mai fatto parte. Io esco e faccio in modo che le cose migliorino. È questa la differenza tra il fanatico di Sid e la Johnny Lydon Appreciation Society. La vita e la morte! Non c’è nulla di glorioso a morire. Possono farlo tutti». (pp.278-279)

«Preferisco essere odiato o amato, piuttosto che semplicemente considerato a posto o simpatico. CARINO è il peggior insulto che potreste fare a qualcuno. Significa che siete assolutamente innocui, senza valori. Carina è una tazza di tè». (p.304)

«In Gran Bretagna, i Sex Pistols abbracciavano tutte le classi, e tutte le età. Arrivavamo a tutti i livelli, a 360 gradi. Davvero. Il punk non era assolutamente legato a una sola classe: era una combinazione di ogni cosa gettata in un bidone della spazzatura, agitata violentemente, e poi risputata fuori.
Tanti ragazzi del ceto medio di fuori Londra, come Siouxsie, Idol e quelli dei Banshees, seguivano i Sex Pistols perché potevano portare vestiti nuovi, sembrare strani e spaventare mamma e papà.
All’altra estremità della scala sociale c’era la classe operaia che diceva: “Ah, fantastico! Una scusa per fare una rissa!”. Poi all’improvviso gli aristocratici viziati si resero conto che non c’era più gusto ad andare in giro in Porche. Era molto più divertente stare con un gruppo di gente della tua età che ti faceva riflettere su te stesso invece di credere semplicemente di essere migliore degli altri.
Attiravamo tutte le classi. L’aspetto violento della parte operaia era controbilanciato dalle sfilate di moda degli aristocratici, che stringevano tutti una forte alleanza. Un periodo eccellente; ma, come tutte le cose belle, doveva concludersi. Doveva andare oltre. Tonnellate di potenzialità, ma viste male». (pp.338-339)

Johnny Rotten sarà con i suoi P.I.L. alla Fiera della Musica di Azzano Decimo, l’8 Luglio.

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