Il concerto di Fabri Fibra a Udine è stato un po’ come guardare un documentario sui giovani d’oggi. Quelli su cui Manuel Agnelli “ci scatarra su”. È un’osservazione antropologica-sociologica interessante. Il pubblico, nel suo insieme, può spesso essere l’incarnazione di quello contro cui un artista si schiera. Che fai in quei casi? Che fai, tu artista? Disprezzarli non puoi, perché ti danno il pane. Approvarli non puoi, perché sono quello contro cui ti poni. Il pubblico del live di Fibra, era composto per il 90% da ragazzini, 9% genitori che accompagnano i figli, 1% The Russos+altri freaks indefinibili. I giovani mi fanno paura, ed è una categoria dalla quale mi sento preoccupantemente aliena. (Poco male, forse una volta tanto sono adulta). “Forse la giovinezza è questo perenne amare i sensi e non pentirsi”, scrisse il poeta Sandro Penna. A me sa tanto che la giovinezza è più che altro un perenne senso di tontonaggine e ottundimento.
Salta all’occhio che le nuove generazioni hanno subito una mutazione genetica: è cresciuta loro una propaggine sulla mano con la forma di un telefono cellulare. Non possono riporlo un secondo, evidentemente, perché è attaccato chirurgicamente alle dita. Questa può essere l’unica spiegazione. Perché non lo mollano un dannato istante. Anche se saltano e ballano, nella destra, hanno il cellulare e lo muovono a tempo di musica tum-tum-tum scattando foto a caso, girando inutili e invedibili video. Poi fotografano i loro amici, e poi autoscatti come se piovesse, con faccine degne del miglior Ben Stiller in Zoolander. Continuano a fotografare anche quando Fibra stesso li riprende dicendo: “ma come, quando lasciate commenti su internet scrivete: vado al concerto e spacco tutto e adesso siete qui col telefonino, ma mettetelo via”. Niente. Loro devono avere la foto e il video di Fibra che dice loro di non filmarlo e fotografarlo. “Qualcuno mi dica se tutto questo è normale”. Fibra praticamente non può più uscire di casa perché ha sempre una schiera di sti bimbetti che gli si attaccano alle braccia senza altro intento che scattare una foto col telefonino. Non vogliono comunicare, chiedere, fargli i complimenti, socializzare, capire. No. Vogliono la foto. Per un attimo mi sono chiesta anche qual è la differenza tra una escort e una giovinetta che sarebbe disposta a tutto pur di mettere le mani addosso a Fabrizio Tarducci. Meglio non chiederselo, perché la differenza potrebbe essere sottile. Comunque, il premio della serata a Udine, lo vince un ragazzetto abbandonato nella nebbia dopo il concerto. Tutti erano già sulla via del ritorno, mentre a lui l’hanno piantato lì in mezzo alla brughiera. Cincischiava col cellulare, probabilmente con l’ultima tacca. Sul volto, il panico. I suoi genitori si saranno dimenticati di venire a prenderlo. Oppure hanno letto “Battle Hymn of the Tiger Mother”, un libro scritto da una mamma cinese, Amy Chua. Prendiamo atto che ogni generazione si sta rammollendo sempre più, con l’ausilio della tecnologia. Stiamo mettendo al mondo figli che, in caso di black out, morirebbero dopo 5 minuti. Non hanno gli anticorpi, non hanno i mezzi per sopravvivere. Dobbiamo correre ai ripari, sennò ci estingueremo. Noi pinguini occidentali. Mangiati dai cinesi. Amy, Dice che è importante essere SPIETATE. Sì, mamme. Ho detto spietate. L’autrice mamma tigre costringe la figlia a suonare il piano fino a notte, niente cena finché non impara il pezzo assegnatole. L’altra figlia le ha regalato un biglietto di compleanno disegnato con le sue manine, e mamma tigre l’ha rifiutato dicendole che era una schifezza, privo di idee: deve impegnarsi di più. Chua obbliga ogni giorno le figlie ad esercitarsi in matematica, ortografia, piano e violino. Niente facebook, videogiochi e telefonini. Il libro di Amy “lascia chiaramente intendere che i cuccioli della madre tigre vengono educati a comandare il mondo, mentre i figli degli occidentali indulgenti e docili crescono senza la preparazione necessaria per competere nello spietato mercato globale”. Come dice Fibra: gente venerate mi taglio le vene per pagare le rate vene e rate gente meditate.