È uscito un nuovo disco dei Radiohead. Ma la notizia non è questa. Si tratta di un album di una band che ha fatto la storia della musica. E in una carriera, la storia la fai una volta. Poi la ripeti un po’. Puoi anche fare storia un paio di volte, ma non 8 volte di fila. Arriva un punto in cui, umanamente, non puoi superare te stesso. Quello che mi affascina è vedere le reazioni del pubblico e degli addetti ai lavori. Discussioni interminabili in cui viene detto tutto e il contrario di tutto. Discussioni in cui muoiono amicizie, e forse anche matrimoni. Perché un fan dei Radiohead non può costruire progetti di vita con un non fan dei Radiohead. In una coppia ci si può venire incontro su: gestione suoceri, educazione dei figli, eutanasia e coprofagia, ma sui Radiohead – sembra – no. Forse qualcuno muore anche letteralmente, durante le discussioni: di botte o di crepacuore. Come mai i Radiohead fanno sempre discutere così tanto? Dividono il pubblico, senza mezze misure. Prendi il video di “Lotus Flower”: c’è chi ci vede un idiota con la bombetta che si dimena senza grazia e senza senso, c’è chi ci vede un genio ironico che trasforma in oro e poesia tutto ciò che tocca. Poi c’è chi su YouTube propone la versione Beyoncé (Thom Yorke che balla “Single Ladies”) e ieri ho visto addirittura una versione con brano neomelodico napoletano, tipo il Piccolo Lucio a me piac’la nutella (cercatelo su YouTube. Il Piccolo Lucio, intendo).
A me il video di Thom Yorke che balla, mi ha lasciato perplessa. Non ho il coraggio di dire che mi sembra un fesso che balla con un occhio a fessura e una bombetta da Carnevale in testa. Non ho il coraggio, eppur l’ho detto. Mi sono documentata e ho scoperto che non è mica un balletto fatto a caso. O meglio, è un balletto fatto a caso: si chiama proprio “random dance”, ma è un balletto random studiato da un coreografo con i contro-C. Tale Wayne McGregor. “Coreografo britannico, famoso nel mondo per la sua particolarissima integrazione di danza con arti visive, scienze, cinema e tecnologia, è proprio in questi giorni sulla bocca di tutti per aver realizzato la coreografia del nuovissimo video dei Radiohead, Lotus Flower, che sul web ha raggiunto in meno di una settimana più di 4.7 milioni di visualizzazioni”.
Paolo Giordano scrive: “E ti pareva: il nuovo disco dei Radiohead è arrivato a bruciapelo e quasi tutti si sbracciano (giustamente) ad elogiarlo ma nell’enfasi dimenticano che stavolta si paga. Già: The king of limbs, ottavo disco dei Radiohead, si è srotolato sul mercato a prezzo variabile, dai sette euro della versione base (mp3 compressissimi e via andare), agli 11 euro dei file in alta qualità fino alla «Newspaper edition» che comprende due vinili e un cd alla bellezza di 36 euro, spedizione compresa. Il disco precedente, lo splendido In rainbows, era arrivato online con la dirompente e nostalgica formula della «donazione volontaria»: si poteva pagare ma anche no e moltissimi, come prevedibile, hanno scelto l’anche no. Spesa proletaria, che bello, avanti tutti, abbasso la discografia capitalista. A ruota anche i Nine Inch Nails hanno seguito la stessa strada e tutti applaudivano a testa bassa. Persino il New York Times, non proprio l’ultimo degli arrivati, proprio in quei mesi aveva messo online gratuitamente le proprie notizie e così tutti giù a festeggiare come se fosse un nuovo ’77. Adesso, marcia indietro: dopotutto siamo nel 2011, bellezza. Insomma, fine di un’epoca, anzi no, fine di una bufala: la musica è una cosa seria e quindi, come tutte le cose serie, si paga il dovuto. Punto”.
Visto che ho parlato di tutto meno che di musica ed arte, voglio rifarmi nel finale citando un libro che dovete assolutamente leggere: Gianfranco Franchi, “Radiohead. A Kid. Testi Commentati”, Arcana, Roma 2009. Da Lankelot: “Franchi ha analizzato ogni brano, album per album (incluse inedite e B-Side), confrontando e comparando i testi con una nutrita rassegna stampa mondiale, web e cartacea. Ne è derivato uno Yorke inedito, ribelle, antagonista, coraggioso e libero: niente affatto malinconico e depressivo. Ecco che Douglas Adams, Thomas Pynchon, Lewis Carroll, George Orwell, T.S. Eliot, Kurt Vonnegut, Goethe e Dante s’adattano alla scrittura rock come niente fosse”.
E dopo aver citato tali intellettuali, mi perdonerete le considerazioni sulla bombetta e l’occhio a fessura, ne sono certa.