Negli ultimi anni i Festival musicali estivi, in Italia, stentano, soffrono e patiscono.

Di un calo di pubblico.
Uno sguardo veloce ai programmi: nessuno è neanche lontanamente paragonabile a un Reading o Glastonbury, per dire.
Ai grandi Festival, all’estero, ci sono tutti quelli che contano.
Ma dire tutti è forse poco.
Sono più che tutti.
Sono quasi troppi!
In Italia, i cartelloni sono debolucci.
E allora la domanda è: hanno un calo di pubblico perché il cast è debole
oppure imbastiscono un cartellone fiacco proprio perché sanno che il pubblico è in calo?
A proposito di cartelloni: ho appena visto che alla Barcolana ci sarà RAF.
Ma perché non comprare un bel lettone di chiodi e stendersi tutti assieme in Piazza Unità?
Costa anche meno.
Ho una sola speranza, per la Barcolana.
La polizia municipale.
Che è stata tanto solerte nell’interrompere il concerto di Paolo Benvegnù sulle rive,
–  manco fosse stato un rave party –
Cioè, l’unico concerto di valore di tutta la benedetta estate in centro e tu me lo interrompi a metà?
Chiudiamo parentesi va, torniamo ai Festival:

Scriveva La Repubblica in un articolo di Carlo Moretti di un mese fa circa: Calo della metà degli spettatori all’Heineken a Mestre, Rototom esiliato, altre rassegne in sofferenza. La grande kermesse rock nel nostro paese non funziona più.

Il festival musicale in Italia è nudo. Se anche il più grande evento pop e rock, quello con lo sponsor più ricco, ovvero l’Heineken Jammin Festival di Mestre, versa in una difficoltà estrema dopo i 6 milioni di euro spesi, con un calo sostanziale di pubblico che si è più o meno dimezzato rispetto alle precedenti edizioni (da oltre 100mila spettatori degli anni scorsi ai 50mila di quest’anno), vuol dire che qualcosa non va, e gli operatori del settore già si interrogano. Al di là dei cast possibili, dei nomi degli artisti scelti per i cast, la riflessione si allarga alla fragilità del sistema, ai limiti culturali, burocratici, non dimenticando i sempre possibili errori organizzativi.
Se in Europa i festival sostanzialmente tengono botta contro la crisi economica (record agli inglesi Reading e a Glastonbury con le sue 120mila presenze, 140mila al Primavera di Barcellona), da noi il calo oscilla tra il meno 25% dell’I-Days di Bologna (ad inizio settembre, con Arctic Monkeys) e il 50% del festival che si chiude oggi nella laguna veneziana con il concerto di Vasco Rossi. Per l’organizzatore di Live Nation Italia, Roberto De Luca, il calo all’Heineken “è sia culturale, sia strutturale. Scontiamo da un lato la poca abitudine del pubblico italiano a vivere la dimensione del festival, dall’altro la crisi economica e discografica, che genera introiti inferiori per tutto il comparto”.

E nel frattempo è scaturita la polemica anche su Italia Wave, che nella nuova location di Lecce sembra aver fatto faville solo nell’ultima serata, ad ingresso gratuito…

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