Oggi torniamo ad un’antica e sana abitudine. Vi segnalo e consiglio caldamente un libro di un autore di cui mi sono già occupata a DDD. Trattasi di Massimo Del Papa. Avevo già presentato il suo “Happy. L’incredibile avventura di Keith Richards” (Meridiano Zero). Questa volta parliamo della sua ultima pubblicazione ovvero “Lucio-ah. Le stagioni italiane nella musica di Lucio Battisti” (Meridiano Zero).
“Le canzoni di Battisti sono emozioni collettive, ciascuno le assorbe a modo suo ma mai da solo. Sono momenti da vivere insieme, da cantare con la chitarra in riva al mare o attorno al fuoco. Sono sogni di gruppo, fatti per viaggiare, per amare, per conoscersi, per raccontarsi. Battisti era tacciato di qualunquismo e persino di fascismo, perché la destra lo venerava. Ma nel covo delle Brigate Rosse di via Monte Nevoso a Milano fu trovata l’intera collezione dei suoi dischi. A quanto pare sia i fascisti che i comunisti si innamoravano con le sue canzoni. (Sciogliere i cuori anche degli assassini. Più arte di così si muore). La verità è che lui ha sempre mantenuto una rigorosa separazione tra impegno politico e creatività artistica. Massimo Del Papa parla dell’uomo e dell’artista, di ogni suo album, del sodalizio con Mogol, che come lui non si è mai rifugiato nella nostalgia del passato ma ha sempre tenuto gli occhi fissi sul presente. Racconta la collaborazione con i più importanti cantanti e musicisti, la partecipazione a Sanremo, il duetto con Mina a Teatro 10, il fallito assalto alle classifiche americane e il prematuro ritiro dalle scene. Ma soprattutto Del Papa allaccia strettamente tutto questo con lo scorrere degli anni in Italia, con i costumi, l’attualità, la politica, per mettere in luce quanto di quelle passate stagioni italiane vive nella musica di Battisti”.
Si parte dal Battisti esordiente: “è vigile, sensibile. Traduce tutto in musica. Ha pure la consapevolezza del proprio talento: si tratta solo di coltivarlo, resistendo ai buoni consigli di chi, al massimo, lo vede come autore: mai come cantante, con quella voce improbabile, sgradevole”.
Un Battisti che sa mettere in atto in maniera semplice, ma unica, efficace la sua arte (cosa che si può dire anche per la scrittura di Del Papa):
“Diceva Maupassant che per lui scrivere era dire cose nuove con le parole di sempre: ci siamo. I testi, bando agli sperimentalismi criptici, li può capire davvero chiunque, ed è una piccola lezione di democrazia; gli accordi di Lucio sono quelli che anche un ragazzino può suonare, ma non li può concepire in successione, non può ricamargli addosso simili melodie, che nascono nuovissime e già classiche, atemporali”.
Ciò che colpisce di Battisti è anche il suo rimaner fuori dagli schemi per quanto riguarda il rapporto con fan e mass media:
“L’artista che non sopporta il pubblico, che non tollera intromissioni della stampa, che non si fa mai vedere in giro e, se qualcuno lo riconosce, arriva a fingersi uno che gli assomiglia, un sosia di se stesso – ‘Sembro Battisti, lo so, me lo dicono tutti’ – questo Artista precipitato molto presto nel vortice di una riservatezza maniacale, a difesa disperata di una quotidianità inespugnabile, questo Artista anti-artista finisce per rappresentarli tutti insieme, gli italiani; s’incarica dei loro sentimenti, fornisce loro un frasario poetico e un’occasione per ritrovarsi: ‘hai sentito l’ultimo di Battisti?’. Un Mantra ininterrotto dal 1969 al 1994.”
Ancora:
“Allo stesso tempo, non sfuggirà che uno degli artisti più schivi e popolari di sempre, forse il più popolare in assoluto, sia stato anche, per tutta la vita, un marginale, un indipendente, un autarchico. Mai dentro i meccanismi, mai schiavo delle logiche televisive e commerciali. Autoprodotto fin quasi dall’inizio. Totalmente autonomo nelle scelte musicali, laddove a quelle testuali pensava il complice, Mogol”.
E poi che altro? Fare musica italiana con mentalità internazionale:
“I dischi di Battisti sono italiani ma non suonano in modo italiano, l’approccio dei musicisti, e di lui per primo, è diverso, è piuttosto anglossassone e Lucio non scimmiotta nessuno, non insegue nessuno”.
Non vi svelo troppo, leggetevi il libro: sullo sfondo troverete non solo la storia degli album di Battisti, ma la storia dell’Italia intera.
Nell’epilogo, Del Papa si chiede:
“Di cosa avrebbero mai parlato, oggi, i versi di Mogol e le melodie di Lucio? Di cellulari? Di bacheche di Facebook? Di cinepanettoni? Di partite del sabato sera? Di reality? Manca la fonte d’ispirazione, e, certo, nulla avrebbe vietato di rifugiarsi nel déjà-vu. Ma se c’è qualcosa che Mogol-Battisti hanno sempre, sdegnosamente rifiutato, è stato certo nostalgismo imbelle, sterile, patetico. Loro sono sempre stati nel presente, un istante prima che arrivasse. La stessa sconfitta della natura veniva cantata qui e ora, come gli abbruttimenti del consumismo, l’afasia dei sentimenti, le città che si restringevano”.