Per iniziare la rubrica, mi fa piacere menzionare il passaggio televisivo di Vinicio Capossela da Fazio (se non sbaglio era il 24 settembre). Capossela ha detto testualmente: “Capodistria è un posto straordinario perché c’è un vecchio studio della televisione e della radio che fu costruito dagli americani; un bellissimo studio, a 5 km dal confine si è già all’estero senza essere definitivamente lontani”.
Capossela non è il solo ad avere un legame particolare con Capodistria. Mi viene in mente Paolo Benvegnù, che proprio in questi giorni credo sia tornato in zona per produrre i monfalconesi Jade. L’ultimo disco di Benvegnù era stato realizzato in parte allo studio Jork di Villa Decani. «Siamo venuti qua perché è un posto bellissimo» ci aveva detto Paolo. «Ci siamo trovati bene con Jadran, titolare dello studio e ci siamo trovati benissimo anche in Slovenia. A me sembra di poter percepire che qui ancora la vita non sia corrotta come in Italia. O quanto meno sembra ci siano dei valori più semplici. E noi siamo persone semplici. Mi piace come sono spartani i bar, i ristoranti, le persone, i giornali, i mercatini… è molto più formativo rispetto al centro commerciale italiano».
Ecco questo è un tema che mi interessa molto.
Essere spartani per fronteggiare il futuro incerto.
Sto ragionando molto sulla privazione come stile di vita, ma anche come stile musicale e culturale.
E alimentare. Sono infatti passata, dopo anni anni di vegetarianesimo ad un regime vegan. Niente derivati animali. Mi spiace solo per la pizza, ma ho già trovato il modo per produrre la mozzarella con latte di soja, polvere, segatura, bagnoschiuma ed essenza di puffo. Non viene molto dissimile dalla mozzarella industriale, quella blu che era balzata alla cronaca qualche tempo fa, presente? Spesso abbiamo questa spinta a riempirci di oggetti, di impegni, di stimoli, di gente. È un po’ la dinamica dei social network: siamo in tanti e tutti iperconnessi. E come dice un celebre pezzo di Corrado Guzzanti: “se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un secondo mettiamo caso ad un aborigeno dalla parte opposta del pianeta, ma il problema è: aborigeno ma io e te, che cazzo se dovemo dì?”.
Tanti contatti, insomma.
Perlopiù inutili.
“Parlo con gente dall’altra parte del mondo
ma non so neanche come si chiama il mio vicino di casa che vive qui sopra.
E abbiamo tutto il mondo chiuso dentro giganteschi televisori.
Abbiamo il 3d, l’hd e siamo più comodi ma anche più soli”.
Come dice invece Dargen D’Amico in “Nessuno parla più (con nessuno)”.
Bisogna togliere e stare essenziali,
perché così sei meno a rischio.
“Non mi manca niente/
Non ho niente”, come in una canzone dei Tre Allegri Ragazzi Morti.
Ad un certo punto non possono che levarti le mutande.
E non sempre è un male!
Specie con questo autunno così caldo.
Pure le mutande possono essere di troppo, alle volte!
Via.
Togliere.
A proposito di stare essenziali, mi è rimasta super impressa una scena emblematica vista quest’estate dopo un concerto degli Afterhours.
C’è Giorgio Prette che saluta i fan.
Ad un certo punto vede una ragazza, si intuisce che si conoscono e non si vedono da un po’.
Lui sembra contento di vederla e le chiede come sta.
Lei è donna e quindi comincia a parlare un casino e divagare.
Ma lui la blocca deciso, perché si vede che ci tiene, ma non ha molto tempo e c’è altra gente da salutare:
“Dimmi due cose.
1. Sei felice?”.
E lei, nel panico: ma insomma, sai, sì, qua, là, su e giù…
“Mi devi dire sì o no: sei felice?”.
No, risponde lei.
“2. Sei innamorata?”.
Stesso schema, lei si perde e lui la riporta all’ordine, pretendendo una risposta secca e veloce.
Fantastico ed essenziale.
Lei si rifà, buttandogli indietro gli stessi due quesiti.
Ma lui non ha dubbi.
A mitraglia, in un secondo: sì sono felice, sì sono innamorato.
Perché nella vita ce la meniamo un sacco, inseguiamo gli aquiloni, pensiamo di avere tante esigenze, ma al nocciolo c’è poco, davvero poco di essenziale.
Essere felici e innamorati.
Non importa di cosa, di chi, come, per quanto.
Togliere, togliere, togliere tutti questi strati di scorza e arrivare al nocciolo, che è fatto di amore.