Trovare ispirazione per la mia rubrica dai mass media ufficiali è sempre più difficile.
L’altro giorno per disperazione ho addirittura acceso la tv, che non si sa mai.
Mi ritrovo Fazio, che ricordavo come uno bravo.
Bene, ora fa le interviste palesemente senza aver letto i libri, ascoltato i cd, o visto i film di cui parla. Perché diventa così, quando sei in pista da tanto e diventi un professionista.
Ne hai le tasche piene un po’ di tutto e i redattori ti preparano le domande.
Ma l’intervista perde l’anima, il mordente, il fuoco.
Se chi ti guarda è un minimo sensibile, lo percepisce.
Non puoi ingannare la gente.
Tutti questi conduttori televisivi, anche quelli partiti bene (vedi la Bignardi) finiscono così. Con lo scazzo addosso.
Non sono come Ricky Russo, che mi manda gli sms tipo: “Sto studiando Dente”, oppure “Sto leggendo in anteprima il libro di Gianfranco Franchi” e lì ci commuoviamo entrambi per il fatto di avere un amico e collaboratore intellettuale e genio!
Fazio mi presenta Fabio De Luigi, sì il gran comico lanciato dalla Gialappa’s (Olmo, Guastaldo, pagliaccio Baraldi, l’ingegner Cane, l’imitatore di Lucarelli tanto per capirci) come un sex symbol.
Capisci, non puoi?
De Luigi è il super giuggiolone per definizione.
Per essere un sex symbol mi devi avere come minimo la faccia da sberle di Vincent Gallo.
Maddai come stiamo messi… De Luigi…
Poi arriva la Littizzetto, una che faceva dei pezzi da sbellicarsi dalle risate e che per me è stata un mito.
Anni luce fa.
Adesso, sommersa dai mille mila euro ed ingaggi da qui al 2100,
credo scriva i testi in cinque minuti.
E per usare i suoi clichè, li scrive con la jolanda.
Ha fatto un monologo che era una polpetta trita e ritrita di quattro temi in croce, il walter, la jolanda, carla bruni, la ridicolizzazione delle donne vamp e degli uomini fessacchiotti.
Litty, ti prego ripigliati.
Una volta eri arguta, intelligente, cinica, scoppiettante.
Ora sei come una nonnina che all’ospizio ti ripete sempre la solita storia di quando era giovane e andava a ballare e il soldato americano… e ti fa il doppiosenso ammiccante/malizioso per intendere che pure lei in vita sua l’ha data via…
Mobbasta! Il walter e la jolanda.
È il momento di rimettere in gioco marcello, il cervello.
Tutto ciò che è statico è inutile.
L’ingegno umano deve essere sempre in movimento.
Così devono essere i rapporti umani.
Dinamici e possibilmente alla pari.
Non dico che devi stare con il bilancino a misurare ciò che dai e ciò che ricevi, e sicuramente se dai con generosità qualcosa (se non altro energia positiva) ti torna indietro; ma non puoi neanche buttare contenuti ad oltranza dentro a un tubo vuoto o a un salvadanaio bucato.
La parità/disparità tra noi e coloro con i quali ci relazioniamo (per lavoro, amore, amicizia, parentela, obbligo sociale… poco importa) è un tema che affligge un po’ tutti. A meno che tu non sia il fortunato eremita che in cima all’Antisocialmonte riceve Radio Capodistria. In questo caso, per sta volta ti esonero dall’ascolto della parte finale della rubrica e puoi andare in bagno, e che ti si iberni la pipì e pure il walter e la jolanda, maledetto eremita dal cuore gelato).
Partiamo dai casi più fortunati. A volte conversi con una persona e lo senti tuo PARO.
E ti sembra di toccare le più alte vette della soddisfazione sociale. Tu fai una battuta finissima e l’altro la coglie subito e rilancia con un’altra finezza e così via, in una splendida partita di ping-pong in cui la pallina non cade mai fuori dal tavolo. Se citi un libro, un film, un disco, un fatto di cronaca, l’altro capisce e nuota con estrema padronanza nei tuoi, nei vostri oceani sconfinati. Siete Ping e Pong. È idillio puro.
Poi ci sono i casi intermedi, e sono quelli in cui di tanto in tanto ti tocca oliare gli ingranaggi. Con un po’ d’olio, però, poi funziona. Certo perdi un po’ il ritmo ma se ci tieni alla persona sei disposto a oliare, rimettere insieme i cocci, fingere di non vedere lo scotch che tiene malamente insieme i pezzi etc.
Poi però c’è il dramma dei drammi. La partita di ping pong in cui la pallina cade dal tavolo ad ogni singolo passaggio. Non solo cade a terra, ma si ammacca pure, divenendo inutilizzabile.
Tutti, ovviamente abbiamo come massima ambizione quella di circondarci dei nostri pari.
Ma la vita ci mette davanti ad un’altra cattiveria: a volte i tuoi pari non ti vogliono.
Vattelapesca a capire il perché.
O non ti percepiscono davvero come loro pari, o sono dei cantautori complicati che fanno fatica (sto citando Dente, giuro. Ha detto queste parole in una video intervista che consegno agli atti).
A parte gli scherzi, la diversità ci divide non meno dell’uguaglianza in questi tempi di frammentazione sociale spinta al delirio.
Ci siamo illusi di poter intrattenere amicizie veicolate dalle tecnologie.
Ma siamo più soli di prima.
C’è poco da fare.
Ho scritto di getto questa cosa che è piaciuta soprattutto alle femmine, chissà perché:
“Il mio cuore non è un albergo.
Nemmeno un posteggio
Men che meno un cimitero”.
La lista potrebbe continuare all’infinito,
fatelo voi a casa:
il mio cuore non è una latrina,
il mio cuore non è un account di facebook,
il mio cuore non è un orfanotrofio etc…
Cosa intendo?
Intendo che il cuore, per me non è un posto dove si possono tenere le fotografie, i ricordi e il passato. Il cuore è il luogo del presente, dove si devono custodire i rapporti vivi, stimolanti, quelli che ti fanno stare bene. Direi anche i rapporti alla pari. Quelli in cui la pallina non si ammacca di continuo. Perché di questi tempi le palline costano care. Meglio non sprecarle.