Questa settimana, lo confesso, ho sofferto.
36 ore lavorative fisse (senza contare radio, scrittura etc…), assommate a tutti i malanni del mondo, in serie: dalla tosse alla schiena bloccata evitando giusto l’infarto ma senza farsi mancare nulla.
E poi difficoltà, complicazioni, matasse che si aggrovigliano.
Lo strano modo in cui nella mia vita tutto si svolge in dannati cerchi che si ripresentano ciclicamente, solo per vedere se ho imparato lo schema risolutivo.
Macché.
Fanno meglio i topini in laboratorio, poverelli.
È che a me piace il sapore del sangue in bocca quando prendo le musate sul muro.
E i bernoccoli sulla fronte.
Eppure sto serena, sì sto serena, perché io c’ho il mio Piano B.
Ora, tutti voi vorrete sapere nel dettaglio di cosa si tratta.
Magari per poi copiarmi o sabotarmi eh?
Non esiste!
Questa l’ho imparata.
La prima regola del piano B è che non si parla del Piano B.
Quindi non vi parlerò nello specifico del mio Piano B, che rimane avvolto dalla segretezza più assoluta, ma vi parlerò de “L’arte del Piano B” di Gianfranco Franchi.
Un libro già presentato a In Orbita, con l’autore stesso, ma su cui mi fa piacere tornare.
Una lettura davvero piacevole, consigliatissima.
Uno di quei libri che si ha voglia di rileggere, in cui ci si ritrova.
C’ho trovato dentro ottimismo, fiducia nelle capacità (individuali, non collettive), parti di me (se penso a quante volte in vita mia ho citato la prova dall’esistenza di Dio di Pascal o a quante volte ho consigliato di curare l’insonnia con i film dei Dardenne!).
Senza fare lo sforzo di buttare giù queste idee, eccole tutte belle pronte in un manualetto di sopravvivenza (che un po’ prende per i fondelli i classici libri di auto aiuto). Grazie Gianfranco, che hai dato un manifesto non a questa generazione, ma a un nucleo di eletti di cui mi sento umilmente (mica tanto) di far parte!
“Il più famoso Piano B, il più spettacolare, diciamolo, è stato l’Arca di Noè. Ciò vuol dire che Noè è un uomo del Piano B. Tieni presente che rispetto a certi piani B bisogna volare leggermente più basso, stare coi piedi ben piantati per terra, non lasciarsi complessare da chi è riuscito in imprese da un respiro così immenso. Ma se devi farti un’idea su cosa sia un Piano B, non dimenticare mai che la trovata dell’Arca – quando nessuno pensava al diluvio – è qualcosa che si avvicina davvero molto a essere l’esempio perfetto. E cosa ti insegna la vicenda di Noè? Che l’uomo del Piano B è uno che potresti prendere per pazzo. Che l’uomo del Piano B è uno che potrebbe essere stato consigliato da qualcuno molto in alto. Che l’uomo del Piano B è quello che riesce a fronteggiare qualsiasi tempesta. Spesso è uno dei pochi. A volte è il solo. Più o meno”.
Il Piano B è la via di fuga che ciascuno di noi ha.
È solo questione di coraggio. Quando ci si sente in gabbia, un modo per uscirne c’è, basta volerlo. Poiché siamo artefici del nostro destino. “Cambio lavoro/cambio casa/cambio figa” diceva Fabri Fibra! Si può! Basta volerlo davvero.
“(…) non c’è libertà più grande di quella di poter prendere e cambiare ruolo: ed è non soltanto una libertà salvifica, ma è una libertà che aiuta l’anima a crescere. Aiuta l’intelligenza a migliorare – vale a dire a comprendere più correttamente l’alterità, il prossimo. Migliora l’umiltà, e migliora la fantasia. E senza fantasia non c’è speranza di cambiamento. Senza fantasia non c’è possibilità di cambiamento. Senza fantasia non c’è nemmeno la possibilità di dare vita a una vera simulazione della realtà”.
Nel libro di Franchi vengono analizzate anche alcune problematiche legate ai tempi moderni.
Partiamo dalla macchina mangiatempo per eccellenza: Facebook.
Io credo sia uno strumento che mi serve, lo uso e cerco di mantenere contatti personali e di lavoro, ma starci dentro con equilibrio è un disastro e spesso vado in crisi e vorrei chiudere l’account. Ho notato che molte altre persone (di solito quelle più sensibili ed intelligenti) sono combattute dal dilemma: restare o uscirne. Ti senti impantanato in un meccanismo di cui ti servono 10 funzioni, ma te ne devi sorbire tutte mille mila. E se all’inizio ti diverte, dopo un po’ ti innervosisce e basta.
“Se la socialità è un’arte sottile, che pretende tempo, dedizione, educazione e sensibilità, figuriamoci allora cosa sia la condivisione della socialità, vale a dire la condivisone dei contatti. Da questo punto di vista, noi contemporanei siamo agevolati, rispetto alle vecchie generazioni, da una cosa in particolare: dallo sfacelo della condivisione pubblica della propria rete sociale sui social network. Come tutti hanno già potuto apprezzare, non c’è fonte più angosciante per equivoci, tragicommedie della gelosia, del rancore e del rimpianto: non c’è possibilità più elementare per sgamare doppi o tripli giochi, bugie innocenti e bugie meno innocenti. Non c’è più sordida macchina mangiatempo”.
Altra piaga dei tempi moderni:
“Cos’è che sta rovinando la qualità del lavoro, negli uffici, nei negozi, negli sportelli aperti al pubblico, da dieci anni circa a questa parte? La deconcentrazione. E cos’è che sta inficiando la lucidità e la coerenza degli articoli di tanti quotidiani, e l’opportunità e il tempismo delle revisioni nelle redazioni delle case editrici e delle riviste? La deconcentrazione. Cos’è che sta rovinando i dialoghi tra colleghi – la mutua comprensione dei dialoghi, parola per parola – sul posto di lavoro? La deconcentrazione. Si tratta di una deconcentrazione diversa rispetto al passato: è la deconcentrazione da Web. La deconcentrazione del multitasking. In sostanza, da quano esiste la possibilità di essere connessi ventiquattro ore al giorno alle fonti di informazione, al proprio social network o sito Web di riferimento, mantenendo al contempo viva la comunicazione con più d’una persona, in tempo (almeno potenzialmente) reale, è come se tanti italiani si fossero addestrati all’esercizio più sbagliato e improduttivo del mondo: la dispersione della concentrazione e dell’attenzione in una valanga di rivoli diversi. Questo significa il multitasking, in realtà: dedicarsi a tante attività contemporaneamente, nell’assurda pretesa di essere perfettamente in grado di assicurare la stessa qualità di lavoro ad ognuna di esse”.
Ancora due citazioni, che possano essere di buon auspicio e vi spingano definitivamente a leggere questo libro:
“(…) Bisogna comportarsi con onestà e gentilezza, per quanto possibile, e improntare i propri Piano B a questa onestà e a questa gentilezza. Non bisogna mai esulare dal bene, per quanto possibile. Non bisogna mai smettere di sedare l’aggressività, la prepotenza, l’egoismo e la violenza che vivono dentro di noi: sedare e trasformare. Trasformare in altro”.
“Professionalità è la parola d’ordine: è la sintesi dello spirito dell’uomo del Piano B durante ognuna delle quattro fasi. Professionalità è concentrazione, dedizione e rigore. Professionalità significa capacità di prendere sul serio qualsiasi interlocutore, a dispetto della sua competenza e della sua età. Professionalità significa capacità di anticipare le richieste e di presagire i problemi: significa tempestività. Professionalità significa sensibilità”.