ELBOW STRIKE «Planning Great Adventures» (Go Down Records) – comunicato

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ELBOW STRIKE

 

«Planning Great Adventures» (Go Down Records)

Esce ad Ottobre 2013 il primo disco del nuovo progetto di

Chris T Bradley

 

Special guest: E1Ten

 (frontman dei Gotcha! P-funk band che collabora con Funkadelik e

George Clinton)

e Marc “Swazi” Sokpolie (al basso).

 

 

1368744_10201404397743262_1254733515_nElbow Strike, musica come un colpo (di gomito) delle arti marziali. Secco, preciso e deciso. Così è il progetto di Chris T Bradley, songwriter giramondo. Tre anni di lavoro tra composizione e studio, pianificando mirabolanti avventure per dare luce a questo disco. 11 canzoni di rock potente che spazia dallo stoner, all’hard rock, al grunge, southern rock e molto altro.

Il titolo «Planning Great Adventures» è nato ancor prima delle canzoni stesse, come spiega l’autore: «Sono un avventuriero, ho viaggiato tantissimo. Per viaggiare (e non da turista) devi essere coraggioso. Anche nella musica devi esserlo. E devi cercare di diffondere energia positiva, se sei pessimista non puoi trovare quello che c’è di bello al mondo».

Scritto ad occhi chiusi e di getto nel suo nucleo essenziale, in gran parte in Thailandia (a Tokyo, invece, è nata la canzone Tokyo Town), per essere poi completato e registrato in Italia, a Trieste (e masterizzato a The Vault Mastering Studios di New York): «Mi è arrivata l’ispirazione e l’ho scritto di botto. Non è troppo cerebrale, è una cosa emotiva. È un disco rock. Può piacere a chi è dentro al power pop all’hard rock, all’heavy, anche ai più duri. I suoni sono cattivi. Ma la potenza si incontra con la melodia, su dei ritornelli che sono forti ma rimangono orecchiabili, ti restano in testa». Tra i riferimenti si può scorgere anche la fissa per una band in particolare: «Dentro il mio disco ci sono tanto i Clutch, una band in cui credo molto. Fanno musica per niente scontata, super rock, molto funky groove con sonorità anni 70, con tanto cuore però anche tecnica musicale ed è per me la vera comunicazione, la vera arte» spiega Bradley. Altre fonti d’ispirazione sono i Foo Fighters, Raging Slab, Alice in Chains, Soundgarden.

 

Al di là delle influenze, i tratti di originalità che caratterizzano il progetto sono dati soprattutto dalla personalità dell’autore, che ha girato America, Europa e Asia con un orecchio attento a recepire tutta la musica internazionale, che ha potuto assorbire e fare propria. Tutte le esperienze, i viaggi, le contaminazioni sono state rielaborate in una ricetta assolutamente personale.

 

Ospiti del disco sono E1Ten, artista olandese e cantante dei Gotcha AllStarz! cresciuto con la Motown e George Clinton, fa parte della Funkadelic; sue sono le voci in Stoneman e Waiting For the Sun e Marc “Swazi” Sokpolie, che suona il basso in maniera fantastica in Waiting For the Sun. La collaborazione con i Gotcha AllStarz!  avrà sicuramente seguito nei live (e nel loro disco in uscita a febbraio 2014 ci sarà la voce di Bradley a prestare i cori in una canzone: a luglio 2013 ha partecipato alle registrazioni del nuovo album dei Gotcha! e ha cantato assieme al leader della band E1Ten in «Free As a Bird»).

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Gli Elbow Strike sono formati da:

Chris T Bradley – vocals, guitar

Marco Mattietti – drums

Simone Rosani (ex Madsword) – bass & vocal

Andrea Abbrescia – guitar

Jakob Scek – guitar & vocal

 

«Planning Great Adventures»

è un concept album che ha come filo conduttore il tema degli alieni, che hanno sempre affascinato Chris T Bradley, sin dalle storie di presunti avvistamenti sentite in famiglia per continuare poi con quelle narrate al cinema. «Scrivere di storie d’amore non fa parte del mio carattere, avevo più voglia di scrivere qualcosa sulla mia incazzatura, su questo mondo un po’ impacchettato e controllato dai potenti. Arriva il new world order ma in realtà ci stanno solo mettendo un numero e categorizzando, abbiamo la villetta alla americana con il giardinetto fuori e la macchina e allora pensiamo di essere liberi e invece ci hanno solo pulito la gabbia». Gli alieni sono un pretesto per osservare gli umani da un punto di vista esterno e spingerli ad un cambiamento: «Sono ateo e apolitico, non istigo alla guerra e alle rivoluzioni violente, ma invoco alla rivoluzione come evoluzione».

“You should hit revolution/ tell me where’s the evolution/ you could be the institution/ there’s not reason for illusion”: ElbowStrikeMofos, il brano di apertura, è un manifesto programmatico dell’intero album con un ritmo molto catchy, ed è il classico pezzo di un disco che fa capire quale sarà il mood dell’intero lavoro. «Questi sistemi non ci stanno facendo progredire, ma in realtà la nostra evoluzione è stata bloccata centinaia di anni fa e va di pari passo con la tecnologia e con l’economia. Stiamo distruggendo le foreste e la natura e probabilmente la vera evoluzione non la faremo. Ci stiamo perdendo. Non sappiamo da dove veniamo. La religione è complice».

Gli ufo arrivano sulla terra, un’aliena fa l’amore con un umano, resta incinta e partorisce un alieno dai poteri speciali. Cosmic Pleasure descrive l’incontro con l’aliena, il viaggio sessuale tra alieno e umano, Monster è il momento della nascita del bambino. U.F.O. è una canzone culminante, una sorta di inno patriottico degli alieni. In Upcompiting viene ribaltato il mito del povero Icaro a cui hanno sempre bruciato le ali, e allora nella canzone in questione arriva un eclissi dove il sole si nasconde dietro la luna e lui si salva. We’re not alone è una canzone d’amore e di pace; l’aliena è da un’altra parte e l’uomo in mezzo ai combattimenti; pur sapendo di non potersi toccare possono comunicare attraverso le stelle. Musicalmente è un brano molto tecnico e anche un po’ gotico, teatrale, interpretativo, una canzone con grandi potenzialità. Waiting for the Sun è stata scritta per E1Ten ed è dedicata alle donne. Un viaggio da svelare tappa dopo tappa, canzone dopo canzone; un concept che dimostra come si possa essere rock e melodici al tempo stesso. Celando un messaggio preciso in ogni testo, ma concedendosi anche momenti surreali e leggeri (come in Momma is cooking chips).

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Chris T Bradley

 

Chris T Bradley è nato a Trieste nel 1972, e questa città è stata la sua base, a fasi alterne. La madre è inglese, di Liverpool e suo padre è italiano, di La Spezia. Fin da piccolo ha girato il mondo: ha vissuto un anno in Africa, in Gabon e poi due anni in Venezuela dove ha frequentato le prime elementari. Racconta: «La prima folgorazione da piccolo sono stati tutti i gruppi southern rock; poi ho fatto il classico passaggio con l’hard rock, la maggior parte band scandinave. A casa mia, con mia mamma e i suoi fratelli inglesi mi sono costruito una cultura musicale internazionale. I miei zii per me sono come fratelli, perché non ci separano molti anni e quindi andavo a pescare nella loro collezione di dischi». Da adolescente si sposta dal Venezuela a Trieste dalla nonna e comincia a frequentare la scena musicale cittadina, nell’86 suona le tastiere con gli Upside, (gruppo hard rock à la Pretty Maids) e condivide la sala prove con band come le leggende dell’hardcore Upset Noise e altre band note all’epoca. Negli anni 90, sfuma la fascinazione per l’hard rock e le tastiere ed arriva un amore totalizzante per il grunge. È il periodo dell’esplosione dei Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam, Alice in Chains, Stone Temple Pilots: «Questi gruppi mi hanno talmente appassionato che me li sono ascoltati per 10 anni», racconta Chris, «Nel ‘92 ho smesso di suonare e per dieci anni ho ascoltato solo grunge e non mi appassionavano più i gruppi con le tastiere. Mi ero trasferito in Olanda e facevo altro, mi occupavo di design. Poi ho cominciato a pensare di scrivere qualcosa di mio. Nel 2000 sono ritornato in Italia e ho cominciato a suonare la chitarra cercando dei cantanti ma nessuno riusciva ad esprimere quello che volevo. Allora ho provato a cantare io stesso. Avevo un orecchio musicale forte ma non sapevo né cantare né suonare la chitarra».

Da lì partono alcune esperienze importanti nella musica italiana, esperimenti di rock, funky pop e la partecipazione a vari festival (Rock Targato Italia, Emergenza Rock e altri…): «Ma mi rendevo conto che l’italiano non era il massimo della mia espressione anche perché vengo da una famiglia inglese e sono appassionato di musica estera quindi mi veniva più facile scrivere in inglese. Allora ho cominciato a fare concerti in Olanda e lì ho formato una band, scrissi una canzone («White Bird In The Black Sand») che denunciava i danni ambientali causati dal petrolio e nella stessa c’è una strofa in italiano ed era piaciuta molto, tanto che una radio di Hollywood mi ha invitato per un’intervista. A Los Angeles questa canzone passava spesso per radio allora ho preso la chitarra e sono andato ad Hollywood, nel 2006». Concerti a Las Vegas, Seattle, Miami, Santa Monica, San Francisco… «Sono tornato dopo tre anni. Ogni tre mesi guidavo sei – sette ore per arrivare in Messico, poi ritornavo dentro così mi lasciavano stare altri tre mesi. Avendole vissute tramite i film pensi siano leggende, invece è così». Dopo tanto suonare e girovagare, Chris ha sentito il bisogno di realizzare un repertorio proprio. «Sentivo di dover mettere la mia energia in qualcosa di positivo. La musica è la mia vita. Quando ho deciso di fare questa cosa mi sono reso conto che a Trieste non avrei mai potuto scrivere un disco per vari motivi. È una città bellissima che però non mi fa vedere oltre di quello di cui ho bisogno, quindi sono andato sei mesi in Thailandia e lì ho scritto tutto il disco. Dopo sei mesi sono tornato in Italia con le idee chiare. Con Marco Mattietti (caro amico e grande batterista, persona molto importante per questo progetto, perché per un anno siamo andati solo io e lui in sala prove, chitarra voce e batteria) ho cominciato a dare una forma al disco. Abbiamo provato vari chitarristi, fino a trovare Andrea Abbrescia, chitarrista davvero particolare. A livello di tecnica, gusto e originalità è eccezionale. Simone Rosani è un bassista fantastico. Essendo molto tecnico (ha suonato con i Madsword, stile Dream Theater) all’inizio avevo qualche dubbio perché pensavo potesse essere troppo quadrato mentre io sono più stoner, blues nel portare gli accordi ma lui, pur non essendo il suo stile, si è messo sotto e l’ha fatto alla grande, sbalordendo tutti quanti. Poi c’è Jakob Shek, l’ultimo arrivato e il più giovane della band, chitarrista molto talentuoso visto anche la giovane età. Con Trieste ho un rapporto di odio e amore. Una cosa positiva è che c’è tanta gente brava a suonare: è senz’altro una città di artisti. Il mio domani, però, lo vedo altrove».

Grandi avventure ancora da vivere, sicuramente lo aspettano in giro per il mondo. 

 

Elisa Russo, settembre 2013

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