Domenica alle 21 Ezio Bosso, il pianista e compositore torinese che ha toccato il cuore del pubblico anche in seguito all’apparizione a Sanremo, presenta dal vivo a Trieste l’album «The 12th room», attualmente in testa alla classifica di iTunes. La data al Rossetti è la prima tappa in regione, Bosso sarà poi al Teatro Nuovo Giovanni da Udine il 10 maggio: entrambe le date sono già sold-out. Per ovviare alla grande richiesta del pubblico ci sarà un terzo appuntamento: il 28 giugno al Castello di Udine, nell’ambito di Udin&Jazz (i biglietti sono ancora disponibili). Del disco d’oro appena ottenuto dice: «Sono incredulo, emozionato, commosso, frastornato per la musica che amo, la musica a cui appartengo, la Musica Libera come la chiamo io. E sì anche perché il mio amico John Cage e Bach e Sgambati e Chopin sono un disco D’oro e di oro certificato anche il mio amato Teatro Sociale Gualtieri». «The 12th room» è il suo primo disco solista, un doppio album in cui due storie si fondono in una. Sono storie di stanze, che rivelano da dove egli proviene, dove si trovano le radici della musica che scrive. Rivelano i due musicisti che convivono in lui: il compositore e l’interprete. Spiega: «Questi brani, come sempre nelle mie scelte, rappresentano un piccolo percorso meta-narrativo. C’è una teoria antica che dice che la vita sia composta da dodici stanze, nessuno può ricordare la prima stanza perché quando nasciamo non vediamo, ma pare che questo accada nell’ultima che raggiungeremo. E quindi si può tornare alla prima. E ricominciare». Bosso, che vive a Londra da più di dieci anni, ha studiato Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna arrivando a dirigere alcune delle più importanti orchestre internazionali come la London Symphony Orchestra, The London Strings, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino e l’Orchestra dell’Accademia della Scala. Ha composto musica classica, colonne sonore per il cinema (per “Io non ho paura” di Salvatores, per “Rosso come il cielo” di Bortone), per il teatro (per registi come James Thierrèe) e la danza (per coreografi come Rafael Bonchela) fino a scrivere sperimentazioni con i ritmi contemporanei. Forse non molti sanno che a 14 anni era un Mod e militava negli Statuto, che lo mandarono via dopo due anni perché produceva troppe note. Dal 2011 Ezio Bosso convive con una malattia neurodegenerativa progressiva. Racconta di come la musica l’abbia sempre aiutato: «Ero nel giardino della casa dove sto molto d’estate, si trova nella campagna bolognese, le gambe mi avevano lasciato da poco e io ero seduto fuori con il mio amico Gheda. Mi sono perso guardando un uccello volare in alto, lontano, al limite del visibile. Ero lì con lui, lo seguivo. Seguivo quell’uccello ed entravo nel cielo, nei suoi colori, mi vedevo dall’alto. Seguendolo ho perso la mia condizione per un po’; il cielo cambiava colore verso l’arancione della sera estiva e io non mi ricordavo nemmeno più i problemi alle gambe. Senza farmi domande sul come o dove stesse andando, mi ero perso. Non è facile da spiegare come condizione, ma quando mi sono “svegliato” ho cominciato a ragionare sul fatto che per seguire bisogna perdersi. Perdere i pregiudizi, i problemi, le paure e imparare da ciò che vediamo, che sentiamo. Un po’ come in amore, perdi tutto il passato per seguire completamente. Seguire l’inaspettato. Per questo vi auguro sempre di perdervi, per trovare. Ho la musica che mi insegna, che mi cura e che mi sta vicino anche quando non c’è musica». Si esibisce con il suo “amico” Pianoforte Gran coda Steinway & Son della collezione Bussotti-Fabbrini, appositamente preparato sulle specifiche del Maestro da Piero Azzola, e utilizza uno sgabello versatile e di supporto, chiamato “12”, nato dalla collaborazione con l’architetto Simone Gheduzzi. Continua: «Per me, se racconti una storia la cambi ed è anche per questo che esiste la musica. Per farcele vivere, le storie. Io posso solo provare a darvi gli elementi, gli strumenti e aiutarvi un po’ a farlo. E se la regola dice che non si svela mai la fine di un libro o di un film, non si dice mai l’ultimo accordo di un brano». Di John Cage ricorda: «Ho deciso di far scoprire Cage a chi non lo conosce o conosce solo una parte di lui. Merita essere riscoperto, o scoperto. Merita lo stupore che mi dichiara il pubblico quando sente questi brani. Suono quelle composizioni della sua gioventù che senza tanti giri intellettuali spiegano bene perché divenne il musicista del silenzio. Per me è una persona e un musicista fondamentale. Consapevolmente e inconsapevolmente mi ha dato tanto. Ho avuto la fortuna di incontralo quando avevo undici anni. Mi ha, per così dire, salvato da un “cattivo maestro” che mi gridava addosso e a volte usava le mani. E di cui ero letteralmente terrorizzato. Durante una delle lezioni in cui come al solito venivo maltrattato entrò nell’aula questo signore di una certa età. Semplicemente si sedette e chiese se potevo ripetere l’esercizio che stavo facendo. Alla fine disse: “A me sembra molto bravo, perché grida?”. E almeno quel giorno il “cattivo maestro” chinò la testa. L’ho incontrato ancora 10 anni dopo e lui si ricordava perfettamente di me e di quel momento. John ha avuto molta influenza sul mio suono di scrittore di musica e di interprete, in fondo era uno sciamano e mi sono accorto solo da adulto quanto la sua musica e lui mi siano vicini». Conclude: «Ah, dimenticavo; chiudo molti miei concerti dicendo “Grazie per aver suonato con me”. La musica spiega più cose di mille professori messi insieme. La cosa più importante che ci insegna la musica è ascoltare. Quando ascolti, capisci. Ascoltare è un gesto di generosità. Quando faccio un concerto io ci metto le mani, ma il resto ce lo mette chi ascolta: suoniamo assieme».
Elisa Russo, Il Piccolo 23 Aprile 2016