«Ricordo che ero partito da Milano alle 4 di mattina, arrivato a Grado c’era un po’ di nebbia, era molto cinematografico e mi sono detto: “qui viene una copertina super onirica” e così è, mi piace tantissimo ed è piaciuta a tutti, sia per l’originalità che per i colori, sono molto grato a Grado per questo scatto». Fabri Fibra racconta come la spiaggia dell’Isola del Sole «non da cartolina in quel periodo dell’anno, con la sabbia e la bassa marea» sia lo sfondo su cui lo si vede passeggiare, di spalle, sulla copertina del suo decimo album “Caos” (uscito a marzo per la Epic). E questa sera alle 21 il tour del rapper numero uno in Italia (al secolo Fabrizio Tarducci, nato a Senigallia nel 1976), fa tappa al Parco delle Rose, per Grado Festival Ospiti d’Autore.
Al Porto vecchio di Trieste aveva girato il video di “Pamplona”, ha collaborato con artisti della regione, da Al Castellana a Elisa. Il suo legame con il Friuli-Venezia Giulia?
«Castellana è una delle voci più interessanti del panorama italiano, negli anni ’90 rimasi veramente affascinato dal suo modo di cantare che non assomigliava a nessuno, e poi collaborava con Neffa e io ero fan di quel suono, quindi lavorare con Al è stato un sogno. Lo stesso per Elisa, un talento unico, formidabile. Non è un caso che entrambi non si siano mai trasferiti, mantengono la loro identità distanti dai grandi centri. Nonostante io viva a Milano da 15 anni ormai, perché è la capitale delle etichette discografiche e del lavoro con la musica, vengo dalla provincia e mi ha sempre interessato il suono e l’attitudine delle persone che lavorano lontano dai centri del business e dall’omologazione».
Come mai “Caos” si apre con un campionamento de “Il Cielo in una stanza” di Gino Paoli?
«Quando i 2nd Roof mi proposero quest’idea mi sembrò fortissima. Anziché aprire con una mia strofa, dopo tutti questi anni di attesa di un mio nuovo disco, ascoltiamoci insieme questo pezzo che è una dedica alla musica. Ringrazierò sempre Paoli per la possibilità di utilizzare un suo brano, sono onorato».
Cosa propone a Grado?
«Quando ero ragazzino vedere un dj e un rapper al microfono senza strumenti, solo con la voglia di imporsi e questa rabbia mischiata alla poetica delle rime mi ha così colpito che ho pensato fosse quello che volevo fare nella vita. Il live è proprio questo: vent’anni di carriera, di scrittura in uno spettacolo di un’ora e mezza con me e il mio dj. Il messaggio forte è questo: ti basta veramente poco per trasmettere tanto. Spero che arrivi».
Che ne pensa del momento d’oro che sta vivendo il rap in Italia?
«Il rap ha conquistato le classifiche di tutto il mondo, negli Usa, in Europa, in Cina… non si ascolta altro. Ma comunque i giovani già vent’anni fa avevano fatto questa scelta, c’è voluto più tempo per convincere i media, le major, che adesso stanno abbracciando questo genere non perché sia diventato il loro preferito ma perché fa guadagnare».
Vent’anni dal debutto “Turbe Giovanili”: che effetto le fa?
«Se mi guardo indietro vedo sempre la stessa cosa, cioè me in studio, non mi sono mai fermato quindi la cosa che mi affascina e mi stupisce tanto sono i fan, vedere che col passare degli anni ci sono persone che continuano ad ascoltare, o che si avvicinano ai miei dischi, alle mie rime, è una magia».
Cosa la aspetta nei prossimi mesi?
«Sono totalmente concentrato nei live perché richiedono tantissima energia, dopo il lungo lavoro in studio è importante portare l’album in giro il più possibile».
Elisa Russo Il Piccolo 17 Settembre 2022
