Cofondatore della Bandabardò, chitarrista richiestissimo (in studio e live con Silvestri, Gazzè, Battiato, Dolcenera, Bollani, Pravo; quest’estate è nella band di Piero Pelù e all’Arena di Verona con Carmen Consoli il 25 agosto…), da una decina d’anni il toscano Alessandro Finazzo, in arte Finaz, si è ritagliato uno spazio per una carriera solista. Tre dischi, l’ultimo “Cicatrici” di fresca pubblicazione: lo presenta a San Giusto giovedì alle 21.30 per la rassegna “Hot in the City” di Good Vibrations e Trieste is Rock. «Sono da solo sul palco con la mia chitarra – dice Finaz – anche se l’impressione di quelli che mi vedono è di sentire una vera e propria piccola orchestra. Ho suonato a Trieste con la Bandabardò tanto tempo fa e ci passavamo per andare in Slovenia, sono contento di tornare in una cornice suggestiva come il castello».

Le differenze tra l’essere solo e in gruppo?

«All’inizio ero eccitato da questa nuova avventura, ma un po’ spaventato perché sei senza rete, è come nello sport, quando sei in squadra ti dai forza, da solo devi essere ancora più concentrato e non sono ammessi errori. Poi mi piace essere un uomo di band, quest’anno sono con Pelù nel “Gigante Tour”, due aspetti della mia carriera che si conciliano».

Nel nuovo singolo “Heart of Stone” c’è il texano Alex Ruiz (nella band del regista Robert Rodriguez, pupillo di Quentin Tarantino). Com’è nato il contatto?

«Ho suonato spesso negli Usa, nel periodo del lockdown ho scritto un blues e volevo impreziosirlo, quindi ne ho parlato col mio produttore Paolo Pagetti della Rivertale Productions che aveva i contatti dei musicisti di Rodriguez, tra cui Alex a cui ha fatto sentire il brano: se n’è innamorato e ha voluto partecipare, è nata una complicità, tanto è vero che stiamo iniziando anche a scrivere un disco insieme e l’anno prossimo magari faremo dei tour in Usa e Europa».

Quali le sue “Cicatrici”?

«Sono i segni che ti lascia la vita, non necessariamente negativi. Ci ho messo dentro i miei sentimenti e viaggi quindi c’è musica ispirata ai posti che ho visitato, l’Africa e il reggae, il blues del Texas, la Puglia e l’Italia di Modugno, l’America di Tom Waits. Qualcuno potrebbe pensare che l’eterogeneità sia un difetto, io ho fatto questa scelta volutamente, perché mi disturba l’omologazione. Tutti si vestono uguali, devono avere lo stesso cellulare, taglio di capelli, ascoltare la stessa musica… io vengo da una generazione per cui il distinguersi era un valore aggiunto».

Erriquez, il leader della Bandabardò è morto a febbraio. Una cicatrice ancora fresca?

«Abbiamo fondato e gestito la Banda assieme, scritto, prodotto, deciso tutto insieme, eravamo molto stretti per cui penso che questa cicatrice non si rimarginerà mai, ho perso un compagno, un fratello, un partner lavorativo. Certe cose vanno sempre ricordate con dolore ma anche con piacere perché ho trent’anni di ricordi belli».

In scaletta include qualche canzone della Banda?

«Prima non li inserivo, ma dopo che Erriquez ci ha lasciati prematuramente, ho sentito l’esigenza di portare dei brani della Banda sul palco. Li ho riarrangiati nel mio “Cicatrici Style”, il pubblico li sta apprezzando molto, si canta tutti assieme».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 20 Luglio 2021

 

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