E pensare che da piccolo suo papà, percussionista nell’orchestra del Verdi per trent’anni (oggi in pensione) l’aveva messo dietro alla batteria, a suonare qualche pezzo di Stevie Wonder. Gabriele Pribetti ricorda ancora il giorno in cui a 5 anni entrò, primo in graduatoria, al conservatorio per studiare le percussioni e disse a suo padre: “però poi mi piacerebbe suonare il sassofono”. Ce l’aveva nel dna: ha scoperto più tardi di avere avuto antenati clarinettisti e sassofonisti in famiglia, dalla parte slovena-croata della mamma. Da dieci anni, quel sassofono, l’ha portato a Londra dove ha intrapreso con successo la carriera di musicista, dapprima come turnista e ora sempre più lanciato in un progetto personale che lo vede pubblicare in questi giorni un secondo ep.
Gabriele, da che percorso musicale arriva?
Abbandonate le percussioni, a un certo punto mi sono appassionato alla musica jazz, ska, reggae. Ho studiato sassofono alla Scuola di Musica 55 con un ottimo insegnante, Diego Mattiassi: mi ha insegnato la teoria della musica e come si dovrebbe suonare però mi ricordava sempre che stiamo facendo arte e va bene a un certo punto dimenticarsi tutte le regole e avere un approccio più artistico che tecnico. Poi un anno di conservatorio jazz ma già stavo suonando in giro, con i Makako Jump, con i Gimma Spliffa avevamo un sacco di seguito dal vivo…
Il conservatorio non faceva per lei?
Ho sempre avuto qualche problema a essere parte di una classe, lavoro meglio in un rapporto uno a uno con un insegnante. E poi, ho bisogno della componente “ansia”. Mi spiego: se al conservatorio fai un esame che non va bene, basta ripeterlo. Dal vivo questo non esiste: devi dare il meglio subito, altrimenti non ti richiamano.
A Trieste si sentiva limitato?
Ci sono un sacco di musicisti e artisti che lavorano alla grande sulla loro idea artistica e non è mai stato un problema trovare altre persone che volessero fare musica. Il limite, me ne sono reso conto dopo, è sempre stato il fatto che non c’è una cultura della musica live in Italia.
Come nasce l’idea di Londra?
Il primo a insistere sul fatto che dovessi andare lì è stato il musicista triestino Stefano Vertovese (Burnite) con cui ho collaborato. E poi Fulvio Impellizzeri, che organizzava il festival Overjam, mi chiamò perché gli inglesi Zion Train avevano bisogno di sostituire il loro sassofonista: soddisfatti, mi dissero che mi avrebbero ricontattato, ma io ho pensato che sicuramente avrei avuto più possibilità trasferendomi. Così è stato, perché collaboro con loro tutt’ora.
Ha ingranato subito?
Dopo un anno e mezzo qui già riuscivo a cavarmela da solo. Come dicevo prima, funziono bene se messo alla prova. Quindi mi sono subito presentato nelle agenzie di Londra come un professionista. Il motto è “Fake it till you make it” (fingi fino a quando non lo ottieni). Anche se uno non è necessariamente il più bravo, se lavora forte prima o poi qualcosa succede. Per il primo mese qui sono rimasto a casa due sere, di cui una avevo l’influenza. Tutte le altre sere cercavo di andare nei locali per conoscere più gente possibile del giro, cominciare a fare qualche piccolo concerto, fare in modo che si ricordassero di me. E così ho fatto per tanto tempo. Non mi sono mai fermato un secondo.
Il musicista è più tutelato in Inghilterra?
Qui essere un musicista non viene mai considerato come non fosse un lavoro vero, anzi è prestigioso. La gente ama uscire, sentire la musica dal vivo, non esiste un matrimonio senza live band. Può essere dura ma Londra è una città in cui se uno s’impegna, lo sforzo è ricompensato mentre in Italia a volte si ha l’impressione che ci sia sempre quella cosa di essere amico di, parente di, conosci le persone e quindi becchi il lavoro a uno che è più bravo. E poi qui alla gente piace fare i soldi, quindi se sei valido e glieli fai fare, ti chiamano.
A suo nome ha già pubblicato due ep.
I due ep (che dovrebbero diventare un doppio vinile) si chiamano “Reeded Edge” che significa “bordo zigrinato” di una moneta perché il mio insegnante Mattiassi mi diceva sempre che la musica è come una moneta, da una parte c’è la tonalità con tutte le regole di armonia e di teoria, e invece sull’altra parte ci sono i suoni che uno sente camminando per strada, la musica in una maniera più astratta. E se tu riesci a stare sul bordo zigrinato puoi pescare da tutte e due le parti liberamente.
Uno su tutti: come ha coinvolto il trombettista Graeme Flowers?
Un giorno mi arriva una telefonata che mi chiede di sostituire un sax contralto, “lo sai suonare vero?”, “sì sì certo”. Bene, chiudo la telefonata e devo: comprarne uno, imparare a suonarlo e imparare una musica complicatissima che non avevo mai suonato! Ho studiato tutto il giorno per un mese, non avrei mai studiato così al conservatorio. È andata bene e lì ho conosciuto Graeme, una delle persone più adorabili e umili che abbia mai incontrato. Arriva in studio che sa tutto, puntuale, un gentiluomo, un personaggio incredibile, pieno di energia.
Le manca qualcosa di Trieste?
Gli amici, la vita lenta, svegliarsi la mattina e bere il caffè al bar con un amico, qua va tutto organizzato settimane prima, è più difficile coltivare i rapporti. Ma sono abituato ai ritmi, quando torno in Italia fatico a sedermi sul divano senza sentirmi in colpa.
IL NUOVO EP
“Reeded Edge vol. 2” è il nuovo ep di Gabriele Pribetti, il precedente volume 1 conta più di 100 mila ascolti su Spotify e ha ottenuto lodi dai prestigiosi Jazz Fm-Uk, Worldwide Fm, Música Macondo. Pribetti, compositore e sassofonista, cammina sulle linee zigrinate che delineano una moneta, bilanciandosi come un equilibrista tra due mondi musicali: quello tonale e quello atonale. I suoni delle armonie modern-jazz, dei groove poliritmici e delle melodie classiche sono opposti ai suoni del free-jazz. L’artista triestino, qui al sassofono tenore, è accompagnato da un cast stellare: Graeme Flowers alla tromba e flicorno (ha lavorato con Quincy Jones, scritto musica per i film di Clint Eastwood), Joshua McKenzie alla batteria (Stormzy, Robert Glasper), Tomasz Bura alle tastiere e synths (Ernesto Simpson, Wretch 32, Atma Anur), Michele Montolli al contrabbasso (Sun Ra Arkestra, Knoel Scott Quartet, Marshall Allen).
GABRIELE PRIBETTI BIO
Nato a Trieste nel ’91, Gabriele Pribetti comincia con le percussioni prima di scegliere il sassofono. Frequenta il conservatorio, la scuola di Musica 55, suona con i Makako Jump, i Gimma Spliffa, collabora con altri musicisti triestini come Burnite. Nel 2013 vince il Premio Franco Russo nell’ambito del TriesteLovesJazz. Dal 2012 vive e lavora a Londra «Ho preso un biglietto di sola andata, avevo il sassofono e un paio di valigie, l’idea era quella di sopravvivere facendo musica, che partendo dall’Italia sembra molto ambizioso», dove ha intensificato le sue collaborazioni: Zion Train, Stormzy, Bob Geldof, Imelda May, Channel One Sound System, Kiko Bun, The Pioneers, The Toasters per citarne alcuni… L’hanno definito un innovatore: «Mi piace il jazz e l’improvvisazione, il free-jazz. L’elettronica m’interessa sempre più, sperimento con effetti, pedaliera; mio papà mi ha fatto sentire un sacco di musica classica mi piace la sinfonica, Prokofiev».
Elisa Russo, Il Piccolo 04 Giugno 2022
