GORAN BREGOVIC SAN GIUSTO 23.07.22

«Dopo decenni con un ritmo di 150 concerti l’anno è stato un grande cambiamento stare fermi, ma è stata un’occasione per scoprire quanto possa essere piacevole vivere ogni giorno nella stessa casa, passare del tempo nel proprio giardino, e ovviamente ho prodotto tanta musica, ho praticamente due dischi pronti, uscirà qualcosa di nuovo a marzo, penso a un album orchestrale». Dopo tre anni di assenza dai palchi italiani, Goran Bregović torna in tour con la sua Wedding and Funeral Band, – trombe, tromboni, grancassa, clarinetto, sassofono e voci bulgare – il cui virtuosismo ci ricorda che nei Balcani la musica è suonata in versione “turbo folk” e arriva al Castello di San Giusto per Hot in the City/ Trieste Estate, sabato alle 21. Lo show sarà un mix dei suoi storici successi, brani più recenti, qualche anticipazione sul nuovo progetto che uscirà nel 2023. Compositore contemporaneo, musicista tradizionale e rockstar, ha inventato una musica che è allo stesso tempo universale e assolutamente sua: Bregović porta in sé il melting pot che ha caratterizzato tutto il suo lavoro. «Io sono di Sarajevo – racconta – sono nato su una frontiera: l’unica dove si incontravano ortodossi, cattolici, ebrei e musulmani. Mio papà è cattolico, mia mamma è ortodossa, mia moglie è musulmana. E mi sento anche un po’ gitano, forse perché per mio padre, colonnello dell’esercito, era inaccettabile che facessi il musicista “un mestiere da gitano”, come diceva lui. Vengo da una terra dove fanno le guerre stupide, ma amo profondamente questo paese terribile». Se gli si chiede com’è Sarajevo oggi, risponde: «La uso come metafora dei nostri tempi: un giorno si vive da buoni vicini e il giorno dopo ci si fa la guerra. Purtroppo è stata la guerra a separare i popoli, dal lato serbo ha lasciato davvero pochi musulmani e dalla parte dei bosniaci pochi cristiani, ma non potrà essere così per sempre, in un mondo che va verso la mescolanza». L’artista bosniaco classe ’50, fondò la sua prima band a sedici anni: «Il rock aveva all’epoca un ruolo fondamentale nella nostra vita. Era l’unica possibilità per poter esprimere pubblicamente il nostro malcontento senza rischiare di finire in galera, o quasi». Il resto è storia: tour mondiali con i leggendari Bijelo Dugme, album che vendono milioni di copie, e poi le colonne sonore, particolarmente fortunate quelle composte per Emir Kusturica: “Il Tempo dei Gitani”, “Arizona Dream”, “Underground”. «Oggi – riflette – non ci sono tanti compositori per il cinema come lo è stato Morricone. Sembra che ci si accontenti di una sorta di illustratori sonori, non dico che non ci sia bella musica nei film ma se devo fare il nome di qualcuno che ci ha lavorato non mi viene in mente». 

La sua spinta è stata decisiva nella diffusione della musica balkan a livello mondiale: «Sono rimasto sorpreso – prosegue – quando la nostra musica balkan esplose diventando quasi di moda, ma non è stata un’onda passeggera, in fondo ancora oggi ci sono migliaia di dj dall’Europa al Sud America che continuano a lavorare con questo genere, che porta con sé quel pizzico di follia, e la pazzia non è mai abbastanza in questo mondo». Come un ragazzino felice, Goran si sorprende di aver potuto collaborare con nomi ai quali avrebbe sempre voluto chiedere un autografo: Iggy Pop, Ofra Haza, Cesária Évora, Scott Walker. Ma cosa lo rende veramente orgoglioso? «Pensare che nei weekend le brass band itineranti vanno a lavorare e si guadagnano da vivere anche cantando le mie canzoni». 

Elisa Russo, Il Piccolo 20 Luglio 2022  

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