“Guida alla musica dei Balcani e del Caucaso” (Odoya Editore, pagg 319, 22€) di Gianluca Grossi è un volume ricco di illustrazioni, schede, interviste, biografie di più di cento musicisti: ideale infarinatura di un mondo musicale vastissimo, ricco di generi ibridi, perfettamente in equilibrio fra il desiderio di sperimentazione della musica moderna e la solidità culturale di quella autoctona.
L’Europa dell’Est e le estreme regioni occidentali dell’Asia rappresentano una delle realtà musicali più affascinanti ed eterogenee del pianeta, dove convergono numerosi generi, figli di culture diversissime fra loro, influenzate da Occidente e Oriente. Ma ne sappiamo poco, o nulla. Siamo, infatti, soliti ascoltare tutto ciò che viene proposto dal mondo musicale anglo-statunitense «inconsapevoli del fatto che, a pochi chilometri dai nostri confini, sussistono proposte altrettanto valide, se non addirittura più significative», assicura Grossi nell’introduzione e ancora, a pagg 142-143: «Perché alcune persone prediligono un genere e ne detestano un altro? È possibile che il gusto musicale dipenda dal paese in cui un individuo nasce? E, se così fosse, quali sarebbero le tendenze musicali di un occidentale che si trovasse a crescere, per esempio, in un paese dell’Estremo Oriente? Sono tutte domande per le quali una risposta certa non esiste. È tuttavia indubbio che la plasticità del cervello faccia sì che ognuno di noi si abitui ad una certa sonorità, ereditata dalla cultura e dalla società di appartenenza. (…) Dobbiamo renderci ulteriormente “plastici” per arrivare a goderne, azione che – un po’ per pigrizia, un po’ per disinteresse – in molti preferiscono risparmiarsi. (…) Non esiste musica di serie a o b». Queste premesse valgono come approccio generale alla musica trattata nel volume, soprattutto per quella che affonda le sue radici nella tradizione e utilizza uno strumento etnico d’elezione: il bouzouki in Grecia, la çiftelia in Albania, la tamburica in Croazia, la gusle in Bulgaria e Macedonia, il gardon in Romania…
La scelta di questa guida Odoya è stata di organizzare le aree geografiche semplicemente per ordine alfabetico, si parte così dall’Albania, dove si trovano nomi conosciuti in Italia come Olen Cesari, che ha collaborato con Lucio Dalla, Max Gazzè, Carmen Consoli, Neffa; l’ensemble Fanfara Tirana; la cantante lirica Inva Mula, che ha cantato anche nel film di Luc Besson “Il Quinto Elemento”.
In Armenia, terra del duduk (strumento a fiato), si va dal folk pop delle sorelle Inga e Anush Arshakyans o di Sirusho ad un musicista come Shavo Odadjian che, giovanissimo, vola a Los Angeles e diventa bassista della nu metal band di successo planetario System of a Down. L’Azerbaigian è la patria di Alim Qasimov, pluripremiato e definito dal New York Times “uno dei più grandi cantanti viventi”, tra i suoi estimatori c’è Björk e qualcuno lo ricorderà per un duetto con Jeff Buckley all’Olympia di Parigi o per la collaborazione con il Kronos Quartet di San Francisco.
La Bosnia è la patria di Goran Bregović, di Emir Kusturica & The Smoking Orchestra (che non hanno certo bisogno di presentazioni) ma anche dei Dubioza Kolektiv che hanno collaborato con Manu Chao e hanno realizzato una divertente cover di “24 mila baci” di Celentano o di Amira Medunjanin, la Billie Holiday dei Balcani.
L’ensemble più famoso della Bulgaria, che ha raggiunto tutte le parti del mondo, è il Coro femminile delle Voci Bulgare, 24 cantanti figlie della tradizione e di villaggi dove il tempo sembra essersi fermato, che si sono tuffate nella modernità con alcune collaborazioni: con la britannica Kate Bush, in Italia con Elio e Le Storie Tese (il “Pippero”). Ma c’è spazio anche per il balkan psichedelico di Kottarashky, artista puro e distante dalle mode.
A Cipro, se da una parte c’è la musica tradizionale, dall’altra si è sviluppata una fertile scena metal con Armageddon, Godblood e importanti festival.
La Croazia non si fa mancare nulla in quanto a generi e talenti: dalla vena malinconica ed intimista di Lidija Bajuk, cantautrice e poetessa, al surf rock di The Bambi
Molesters che negli USA hanno aperto per i REM, all’autore della hit anni ‘90 “Stop the war in Croatia” Tomislav Ivčić, agli artisti più influenti dell’adriatico secondo MTV award nel 2009, i Lollobrigida Girls, alle formazioni femminili come le Žen, alla meteora Sandy Marton lanciato da Claudio Cecchetto con la hit del 1984 “People from Ibiza”, a Darko Rundek nome di punta della new wave jugoslava, alla famosa sexy popstar Severina… E poi il Festival di Omiš in voga dal 1966 con la sua musica klapa (parola di origine triestina per indicare “gruppo di amici che condividono piaceri e dolori della vita, accomunati dall’amore per le sette note”).
La Georgia è culla del canto polifonico, tenuto in vita anche da giovani ragazze come il Trio Mandili che hanno spopolato su YouTube.
Ricco lo spazio dedicato alla Grecia, i generi e gli artisti trattati sono tantissimi, dal rebetiko (sdoganato in Italia da Capossela con il suo “Rebetiko Gymnastas” del 2012) all’etnopunk, imprescindibili due nomi di successo mondiale: il pilastro della musica greca anni Settanta e Ottanta Demis Roussos, sessanta milioni di dischi venduti, voce superba e imponente, venuto a mancare nel 2015 ed il re delle colonne sonore Vangelis (“Bladerunner”, “Luna di Fiele” e “Momenti di Gloria” che gli valse il premio Oscar nel 1982).
Il Kosovo spazia dall’indie di The Glasses al pop di Leonora Jakupi, dal folk tradizionale di Dervish Shaqa alla techno house di Vegim.
La Macedonia dà i natali a una band fuori dal coro come i Bernays Propaganda fra new wave, post punk e post hardcore con una tostissima frontwoman, così come alla nota Kočani Orkestar molto amata in Italia anche per le collaborazioni con Capossela e Fresu o alla regina della musica gypsy Esma Redžepova.
Arkady Gendler, rockstar yiddish classe 1921, è orgoglio della Moldavia. Ai poli opposti si può trovare la frizzante boyband O-Zone con la loro hit/ tormentone “Dragostea din tei” portata al successo in Italia dalla romena Haiducii (apparsa a Sanremo 2004). Nel Montenegro spicca la figura di Rambo Amadeus che si definisce “troppo stupido per il jazz e troppo intelligente per il rock” (ricorda un po’ Roberto “Freak” Antoni). Nell’Ossezia domina il folk e la Romania vanta nomi di prestigio come il Bălănescu Quartet noto anche per aver affiancato star come David Byrne e John Lurie o la Fanfare Ciocărlia, ma c’è molto altro: il Paganini del cimbalon Toni Iordache, Oana Cătălina e il tango di Bucarest, l’epopea gitana dei Taraf de Haïdouks, il blues della Transilvania…
In Serbia brilla Boban Marković con la sua Orchestra che ha collaborato anche con Kusturica per i film “Underground” e “Arizona Dream”, ma ci sono anche i Repetitor considerati i Sonic Youth di Belgrado e la chiacchierata pop star Svetlana Ražnatović, alle cronache come vedova del criminale di guerra Arkan. Tra i nomi presi in considerazione per la Slovenia non possono mancare i leggendari Laibach, definiti “controversi, ambigui e provocatori” e i Pankrti con la loro punk revolution. Ultima tappa è la Turchia, tra i vari artisti trattati colpisce la favola musicale di Erkin Koray, il Jimi Hendrix turco o il jazz anatolico dei konstruKt, fattisi notare anche al Festival di Tarcento Jazz nel 2014. Nelle appendici del volume vengono approfondite la storia del progressive rock della ex Jugoslavia, le varie collaborazioni di Vinicio Capossela ed il suo Calitri Sponz Fest, i figli (insospettabili) dell’Est: dai nonni turchi di Bob Dylan agli antenati romeni di Art Garfunkel, dal papà di Cipro di Cat Stevens a quello greco di Alex Kapranos dei Franz Ferdinand per finire con Moni Ovadia nato in Bulgaria.
«Musicisti talentuosi del calibro di Bruce Springsteen o Eddie Vedder ci sono – o ci sono stati – anche nei Balcani, ma nessuno (o quasi) ha mai avuto modo di saperlo» assicura l’autore Gianluca Grossi: non può che accendere la curiosità dei lettori/ascoltatori.
Elisa Russo, Il Piccolo 6 Agosto 2016