IL PICCOLO RUBRICA DISCHI 15.05.15 BLUR “The Magic Whip”

ARTISTA: Blur

TITOLO: The Magic Whip

ETICHETTA: Parlaphone/Warner

Tanti anni di silenzio discografico per i Blur e momenti in cui si poteva temere che l’amatissima brit band non avrebbe dato la luce ad un nuovo lavoro: loro stessi dichiaravano che non ci sarebbe stato un seguito a «Think Thank» del 2003. In mezzo: i burrascosi rapporti tra il cantante Damon Albarn ed il chitarrista Graham Coxon, anni in cui entrambi sono stati attivi con diversi progetti (maggiore il successo di Albarn, dai Gorillaz al lavoro solista “Everyday Robots” dell’anno scorso). Mai ufficialmente sciolti, di tanto in tanto i Blur si facevano sentire: qualche glorioso concerto (ad Hyde Park nel 2009 e nel 2012 in chiusura delle Olimpiadi), cofanetti deluxe e raccolte, un dvd documentario… ma di inediti solo un paio, del tutto estemporanei: insomma una band con un passato, un presente incerto e nessun progetto futuro. Finché, senza far troppo rumore, ecco finalmente l’ottavo lavoro in studio: «The Magic Whip» (Parlaphone/Warner). 100% Blur, ma al tempo stesso un incrocio di alcuni elementi portanti delle carriere soliste di Albarn e Coxon: era inevitabile che questi dodici anni di percorsi paralleli lasciassero tracce. Il primo nucleo dell’album prende forma durante una pausa forzata di 5 giorni ad Hong Kong: i Blur entrano in studio quasi per gioco e danno vita ad alcune session. Coxon decide poi di lavorare a quel materiale, ma si fatica a trovare il produttore che convinca tutti, finché rientra in gioco Stephen Street, produttore storico della band. «Lonesome Street», brano d’apertura, sfoggia uno dei classici riff di Coxon ed un testo di Albarn che indaga sul consumismo globale e le sue contraddizioni: se fosse un paesaggio sarebbe una strada di Hong Kong piena di luci al neon e lanternine, uno di quei posti in cui si è tormentati dalla solitudine in mezzo alla folla. «My Terracotta Heart», ballata space folk, è forse l’episodio che più si avvicina alle esperienze soliste di Damon, il testo può sembrare ispirato ad una storia d’amore (“Qualcosa si è rotto dentro/ mi sento perso/ e non so se ti sto perdendo di nuovo) ma nello specifico parla proprio del rapporto Albarn-Coxon. «Ghost Ship» si staglia su un groove raggae-soul e gioca col dub, con un giro di basso di Alex James da antologia. Spazio alla sperimentazione in «Thought I was a spaceman», episodio centrale, batteria di Dave Rowntree nella quale si incastrano alla perfezione le percussioni elettroniche tanto amate da Albarn, che qui divide le parti vocali con Coxon. I riferimenti a “Space Oddity” di David Bowie sono evidenti e non solo nel titolo. Nonostante l’ossessione per le tecnologie che spersonalizzano e la solitudine di massa, ci sono scorci di speranza e di bellezza, anche nella desolazione. I Blur sono tornati, in assetto trionfale: melodici, contemplativi, maturi, all’altezza delle aspettative.

Elisa Russo, Il Piccolo venerdì 15 Maggio 2015

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