ARTISTA: Goatsnake
TITOLO: «Black Age Blues»
ETICHETTA: Southern Lord


Tanto per dare i numeri: quindici anni di distanza dall’ultimo “Flower Of Disease”, quattordici dallo scioglimento, undici dalla breve reunion (con un EP uscito). Un’attesa ripagata da «Black Age Blues» (Southern Lord) una bomba sonora per i Goatsnake, una delle migliori band in ambito stoner/ doom metal/ blues/ southern rock. Nati nel ’96 a Los Angeles dallo scioglimento degli Obsessed, la formazione attuale comprende Peter Stahl alla voce (Scream, Wool, Queens of The Stone Age), Greg Rogers (The Obsessed) alla batteria, Greg Anderson (Sun O))), Southern Lord) e Scott Renner (Sourvein) al basso, unica new entry. Numerosi gli ospiti, tra cui David Pajo (Slint) ed il trio vocale gospel/soul Dem Preacher’s Daughters che amplifica la voce strepitosa di Stahl, che forse non ha mai vibrato così potente. Stahl spiega il titolo: “«Black Age Blues» perché viviamo tempi oscuri o magari ci sembra che sia così perché ci arrivano più informazioni dal mondo intero, si passa dal blu(es) al nero che sono stati d’animo per me frequenti”. L’album è registrato e mixato al Rock Falcon Franklin da Nick Raskulinecz (Queens Of The Stone Age, Foo Fighters, Alice in Chains, Mastodon). Cinquanta minuti ispiratissimi, pieni d’anima in cui c’è la pesantezza dei Black Sabbath, l’oscurità degli Alice in Chains, lo sludge dei Melvins, i grooves del rock underground degli anni ’70, il tormento del blues, i riff del doom metal e l’apertura alla luce del soul, del gospel e al sole bruciante del deserto del Mojave.
“Another River To Cross”, prima traccia, parla dei fiumi che metaforicamente tutti debbono attraversare, comincia con un piano e delle voci femminili lontane ed inquietanti, poi una chitarra acustica folk pian piano sfocia in un riff sabbathiano in cui Anderson dimostra quanto sappia essere vario il suo stile, abbandonando la ricercatezza e lo sperimentalismo dei Sun O))), si lancia qui nella pesantezza tanto diretta quanto efficace. “Coffee & Whiskey” si apre come un brano folk ma si sviluppa poi in un rock che qualcuno ha associato addirittura al glam di David Lee Roth o dei Guns N’Roses. Caffeina, nicotina, alcol, istrionismo vocale: in ciascun brano c’è qualcosa che racconta un eccesso, una nevrosi, una spinta verso l’alto o verso il basso. Il finale di “Black Age Blues”, vocalmente richiama alla mente il compianto Layne Staley degli Alice in Chains. “For Grandpa Jones”, dall’alone mistico, suona come l’orazione di un predicatore e la si immagina come perfetta colonna sonora in qualche serie di culto di Kurt Sutter, il geniale creatore di Sons Of Anarchy.
Sembra proprio il disco che i Goatsnake avrebbero sempre voluto incidere (“Siamo sempre noi, ma siamo cresciuti grazie alle esperienze in altri progetti”, dice Stahl): imperdibile per chi ama la musica heavy in tutte le sue contaminazioni.
Elisa Russo, Il Piccolo 28 Agosto 2015