Artista 1: Joanna Newsom
Titolo: «Have One On Me»
Etichetta: Drag City
Foto: Joanna Newsom
Artista 2: Johnny Cash
Titolo: «American VI: Ain’t No Grave»
Etichetta: Lost Highway/Universal
Joanna Newsom, reginetta del nu folk Usa, torna sul mercato discografico con grazia ed abbondanza: ben 18 tracce distribuite su triplo cd o triplo vinile per il suo nuovo lavoro «Have One On Me» (Drag City). “Le canzoni erano tante e tutte in qualche modo legate tra loro, quindi non posticipabili ai prossimi album”, spiega la Newsom. Giovane e prodigiosa cantante, arpista e cantautrice sbarcata sicuramente da un altro pianeta. Fuori dal tempo e dalle mode. Una fata bionda che suona l’arpa celtica senza sembrare antica. Dà vita ad un lavoro impegnativo da ascoltare, non fosse altro che per la lunghezza dell’intera opera, ma se ci si prende il tempo per lasciarsi cullare dalle suadenti melodie imbastite, non si può che innamorarsene. Canzoni che parlano (in maniera logorroica) di: amore, ragni, divinità, famiglia, autunno e inverno, città e campagna, edonismo e ascetismo, comunanza e solitudine, riposo e insonnia, maternità e molto altro, insomma: tutto e l’opposto di tutto. Mini sinfonie che a volte si limitano a voce ed arpa e altre volte sono arricchite da pianoforte, batteria, fiati, chitarra, banjo e mandolino per citare solo gli strumenti più usuali. Oltre a quest’ottima prova per l’artista californiana che molti hanno paragonato a Joni Mitchell, nei territori del folk/rock va segnalata l’uscita postuma di «American VI: Ain’t No Grave»(Lost Highway/Universal) del compianto Johnny Cash. Brani cantati da Cash nell’ultimissimo tratto della sua vita, schiacciato dalla morte della moglie June Carter e provato dalle proprie condizioni di salute. Un disco funereo e struggente: non può suonare diversamente. Sulle registrazioni della voce di Cash, ha poi lavorato Rick Rubin assieme a molti altri collaboratori e musicisti: si potrebbe criticare l’arbitrarietà di un lavoro a posteriori, ma le emozioni che scorrono a fiumi in mezzo a queste tracce fanno mettere da parte qualunque polemica. Brani propri, qualche traditional riarrangiato e qualche cover (come la straordinaria «Redemption Day» di Sheryl Crow). Con questo testamento si chiude la serie American, cominciata nel ’94. Si tratta del ciclo con cui il produttore Rick Rubin regalò una nuova folgorante carriera al tenebroso Man in Black dalla voce roca e lacerante.