INTERVISTA A DAVIDE VAN DE SFROOS, al TRIESTE CALLING THE BOSS DAY 2 (22.04.16) al Miela

day 2thompsonVenerdì, dalle 20.45, il Miela ospita la seconda serata di Trieste Calling The Boss. In apertura un tributo al Boss da parte di alcune band locali: Nasty Monroe, Afterglow, The Rideouts e On The Road. Spazio poi a Davide Van De Sfroos e in chiusura Canto Libero, il progetto di omaggio a Battisti e Mogol che questa volta si calerà nei panni della E Street Band e avrà come ospite speciale James Thompson, sassofonista, tra gli altri, di Zucchero.

Davide Bernasconi, in arte Davide Van De Sfroos, è un cantautore e scrittore nato a Monza e cresciuto sul Lago di Como, il cui nome d’arte rappresenta una espressione del dialetto tremezzino (o laghée) traducibile con “vanno di frodo”. Ha pubblicato sei album di inediti, ha ricevuto il Premio Maria Carta e vinto due volte il Premio Tenco. Si è classificato quarto alla 61ª edizione del Festival di Sanremo. Nel 2014 è uscito l’album in studio “Goga e Magoga”, che è arrivato al secondo posto della classifica dei dischi più venduti in Italia. La raccolta “Best of 1999-2011” è stata certificata disco d’oro. Per la prima volta in concerto a Trieste, racconta:

«Ho sempre avuto una percezione del Nord Est molto forte, ha avuto un gran magnetismo nei confronti della mia musica e delle mie storie. Sono nate anche delle collaborazioni, ad esempio con Luigi Maieron che è punto di riferimento cantautorale nella Carnia. Le sue canzoni in dialetto mi hanno sempre graffiato da dentro perché ti fanno sentire questo suono che un po’ capisci, un po’ no ma che comunque ti colpisce fortemente. Poi ho frequentato Pordenone, Udine, Spilimbergo, il Folkest e ho avuto modo di conoscere realtà che non avevano a che fare solo con la musica ma anche con la letteratura. Ho trovato un popolo interessato, pieno di culture miste, unico nel suo genere per ospitalità, cordialità e modo di penetrare fortemente dentro alle canzoni. A me non interessa avere una folla schiamazzante che non ha capito niente, mi fa più piacere una persona sola che ha capito veramente quello che sto dicendo».

davide van de sfroos

Come mai la scelta del dialetto?

«Ci sono persone che vanno in Sardegna perché vogliono il mare, il sole, il pesce. Io quando arrivo lì per prima cosa cerco qualcuno che parli in sardo per sentire il suono di una terra. Cerco la loro storia, significati, carnevali, leggende… Oggi si tende a viaggiare molto velocemente ma si rischia di non portare a casa niente. Le persone partono con valige strapiene di cose che magari non serviranno ma quanti sono disposti a partire con una valigia vuota da riempire strada facendo? Io sono disposto a farlo. Quando qualcuno di un dialetto dice “non si capisce niente” è perché non si è mai soffermato, non si è mai incuriosito… se si ascolta, poi si comincia a capire alcuni termini, a seguire il suono di una terra e di un popolo».

Che spettacolo propone?

«Un ritorno alle radici, a dove tutto era cominciato. Mi sono attaccato a questo gruppo di ragazzi della provincia di Lecco, gli Shiver. In loro ho sentito il furore sacro. Loro venivano ai miei concerti quando erano bambini, in braccio ai genitori poi con gli anni hanno cominciato a suonare i miei brani. Io dopo aver fatto viaggi dentro musiche di tutti i tipi ed aver sperimentato, arrivando perfino alla musica sinfonica mi sono detto: “e adesso? Dove vuoi andare ancora? Non è che hai paura di perderti o di andare troppo in là e non sapere più dov’è la sponda?”. È stata un’odissea e non mi sono fatto mancare niente e sono riuscito ad andare in profondità, ora ho avuto voglia di tornare dove avevo cominciato, riprendere quei suoni, quelle canzoni. Quando ho sentito gli Shiver con il loro entusiasmo ho capito che erano le persone che facevano al caso mio. Allora è nata questa cooperazione con un’energia molto corale. Poi c’è anche il coraggio di mettersi in gioco, mescolare le carte, di affidarsi ad una visione di ragazzi più giovani. A cinquant’anni temi che tutto possa diventare un po’ ripetitivo e allora hai bisogno di uno stacco e di un percorso diverso per cercare di dare uno sguardo al sentiero verso casa. Un concerto di canzoni vecchie e nuove che attraversa la mia storia, arrangiato in modo molto folk, roots con mandolini, banjo, violino, contrabasso, cassa, batteria suonata da Lorenzo, tutti cantono, pianoforte, armonica… molto completo, energico, ma non artefatto».

Ha partecipato a una data italiana del Light of Day Benefit Tour dove ha portato “The ghost of Tom Joad” in dialetto.

«Mi sono trovato con questi musicisti springsteeniani a Torino, era una serata un po’ free style, è stato molto divertente ma mi sembrava di aver dato poco dal punto di vista del boss. E allora il giorno dopo a Cantù ero in hotel e al pomeriggio ho tradotto una canzone che mi ha sempre colpito molto, che ripercorre un po’ il mondo di “Furore” di Steinbeck e mi sembrava un testo che poteva essere tranquillamente tradotto in dialetto».

Un disco nuovo?

«Lo sguardo verso un nuovo lavoro c’è, parallelo alle vibrazioni di adesso, un disco con i suoni di questo tipo. Lo sto cercando».

Elisa Russo, Il Piccolo 22 Aprile 2016

van de sfroos

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