Un disco di debutto a 67 anni: meglio tardi che mai, visto che si tratta di un gioiellino: “Metabolismo Lento” del triestino Fulvio Bozzetta è destinato a lasciare un segno nel cantautorato made in Trieste (e ha le carte per uscire dai confini locali). 12 canzoni che rischiavano di rimanere in un cassetto, se non fosse stato per due noti talenti cittadini: il soul singer Al Castellana ed il suo collaboratore Daniele Dibiaggio che, riconosciuto l’indiscutibile genio di Bozzetta, hanno prodotto e pubblicato l’album per la loro etichetta, Lademoto. Hanno partecipato alla realizzazione alcuni tra i migliori musicisti della zona, impossibile citarli tutti, tra i tanti: Fabio Valdemarin (Fiorella Mannoia, Neffa, Ornella Vanoni, Angelo Branduardi), Paolo Muscovi (Neffa, Stef Burns), Sergio Giangaspero, Andrea Zullian, Alessandro Leonzini, Maurizio Marchesich… Martedì 22 alle 18, Bozzetta, accompagnato da Montserrat Zerega e Dibiaggio presenterà il disco alla Casa della Musica di Via dei Capitelli 3. Il cantautore racconta che, nonostante questo esordio arrivi solo ora, il demone della musica l’ha posseduto da sempre:
«Dal ’66 ho militato in alcuni gruppi rock cittadini, come i Gattopardi. Mi sono iscritto al Conservatorio per approfondire la mia formazione dal punto di vista tecnico e compositivo e ho studiato chitarra classica. Poi è scoppiato il ’68 e per me l’impegno politico è stato prioritario. Sono stati anni di libertà, di gioia, di condivisione, di lotte etiche e politiche e lì mi sono avvicinato alla musica di lotta e popolare triestina: facevo parte del gruppo Il Canzoniere Triestino. Nel ’78, con il riflusso storico, ho ricominciato a scrivere canzoni mie, legate alla mia condizione di insegnante, sulla scuola, sui ragazzi, sul pendolarismo e ancora qualcosa di politico, contro la guerra e qualcosa di più intimo: le prime erano molto buffe, amo i nonsense, le storie immaginarie. Ho una vena ironica ma non faccio canzoni per far ridere, faccio canzoni per far pensare. Avevo cominciato a registrare qualcosa di mio nello studio di Gigi Castellana, a San Giacomo. Nella prima band suonavo con lui, Roberto Tomat, Alessandro Vodopivec, Sergio Candotti. Quando la band si è sciolta ho avuto un momento di stasi con la musica e ho fatto tante altre cose. Io quando mi innamoro di una cosa la faccio fino in fondo».
È stato, fino al 2007, insegnante di matematica. Come mai ha scelto la matematica, così distante dalla musica?
«Ho insegnato a Borgo San Sergio, al Roli… Lavorare nel disagio di un rione pieno di problemi è stata una bellissima esperienza di ricerca e di lavoro di gruppo, amavo molto il mio lavoro. Matematica e musica non sono così distanti. La matematica ha delle costruzioni astratte che sono di un’estetica che è molto simile alla musica. E la musica ha una base di matematica nelle frequenze, nelle armonie: io amo molto Bach e lui per me è matematica, non in senso rigido ma nel senso di espansione della mente. La matematica nella musica mi ha dato un rigore, un gusto per la costruzione e per la logica del pezzo. Certo poi c’è l’emozione, l’inconscio che nella matematica non ci sono, ma si tratta comunque di due mondi che si toccano».
I suoi ex studenti la seguono?
«Avevo il fan club tra i miei studenti, venivano ai miei concerti con gli striscioni ora mi scrivono su Facebook… Qualcuno è diventato musicista ad esempio Matteo Bognolo».
Come mai non ha inciso un disco prima d’ora?
«In passato per realizzare un cd avrei dovuto rinunciare a delle parti di me, le case discografiche mi chiedevano di scegliere un genere e per me è impossibile perché ogni testo richiede un sound, un ritmo, una musica diversa… dal rock alla Zappa, al funky, alla classica. Scegliere un genere non era nelle mie corde. Forse sono stato un po’ presuntuoso e immodesto, non avevo la spinta del bisogno perché già lavoravo e non sono sceso a compromessi».
E cosa l’ha fatta cambiare idea oggi?
«Devo ringraziare due splendide persone: Al Castellana e Dibiaggio. Ero andato nel loro studio per un mix, mi hanno chiesto di sentire le mie cose e sono rimasti così colpiti da proporre di produrmi un disco. È stata una gioia infinita. Abbiamo avuto delle collaborazioni eccellenti Muscovi, Valdemarin, Giangaspero… Gli arrangiamenti di base sono i miei, poi abbiamo costruito la parte ritmica degli interventi. Siamo riusciti a recuperare anche vecchie tracce audio in cui suonavano musicisti delle mie band: Candotti, Davanzo e anche Vatovac che non c’è più ed è un bell’omaggio. Il lavoro nasce dall’incontro tra la mia musica e un favoloso team di produzione, che è riuscito a dare una certa omogeneità al mio disordine creativo. Non troverete nei pezzi una tematica né uno stile legato a generi musicali. Ogni pezzo nasce a sé da un’intuizione che può essere testuale, musicale o ritmica. I testi vanno dal nonsense alla poesia, dalla funzione consolatoria per la morte di un amico all’amore per le mie donne, dalla compassione per le sofferenze al disprezzo dell’imbecillità. Nella musica si trova di tutto dalle citazioni di classica all’amore per il funk, da un rock demenziale alle nostalgie del tango, dalla musica popolare alla costruzione sofisticata di armonie, contrappunti e contrasti. Il tutto sul testo perché ogni parola esige una sonorità, ogni frase un ritmo e una sola soluzione musicale esatta».
Perché “Metabolismo Lento”?
«Metabolismo Lento era il nome della mia band. I miei ritmi sono questi: calmi, rilassati, tranquilli, evito lo stress, non devo correre o sopraffare nessuno, devo solo vivere la mia vita e fare le mie cose, se piacciono cercare di condividerle. Anche quando faccio delle invettive, le faccio con il sorriso. In copertina un bradipo: un simbolo, vive sull’albero e si arrampica lentamente sui rami più alti per difendersi e non va in cerca di grane».
Nelle sue canzoni c’è molta Trieste: il Carso, Cavana…
«”Josko” è dedicato ad un mio amico che amava molto queste terre, il mare, il ballo, il Carso. Trieste è una città che ti tocca dentro. Non ho mai pensato di andare via. È una città che ti strega e ti immobilizza perché hai tutto, tante cose che ti rendono la vita bella. Grazie alla magia della città e il melting pot abbiamo dei talenti straordinari».
L’hanno paragonata a Paolo Conte.
«Paolo Conte mi piace, ho un po’ della sua vena poetica ma sento più vicini Dalla, Pino Daniele, Ruggeri, Jannacci. Ho ascoltato molto funk, la musica etnica ma le lascio fare a chi le sa fare, e poi la musica classica, Bach, Zappa».
I temi delle canzoni sono vari quanto gli stili musicali.
«Si va da “Pornostar” in cui si cerca di dare alla pornostar una dimensione di donna che ha dei sentimenti, a “Il Diavolo e Suor Angelica” con un diavolo buono e una suora che pensa all’amore: sono sfide, mi vengono dei flash che poi sviluppo. “Cuccioli” è la più moderna, una canzone d’amore per la mia donna, “Claudine” dall’atmosfera mitteleuropea: l’idea mi è venuta dopo aver letto “Tre donne” di Musil, un’atmosfera magica di una donna che vorrebbe uscire dalla normalità ma non riesce e rimane imprigionata. “Il diritto e il rovescio” nata da un’idea di Marco Barone, parla dei diritti delle coppie omosessuali e nacque contro la dichiarazione di Ratzinger che parlava di offesa alla natura, c’era stata una manifestazione di ArciGay a Trieste.
“Canzone per me” parla del disagio giovanile senza andare sulle cose ovvie, ma su quelle più intime, la ricerca di un momento di pace; ha una parte rock, una jazzata e una più melodica.
In finale “Vuelvo al Sur” di Astor Piazzolla, di solito non amo fare cover, la musica è meglio che la faccia chi l’ha scritta. C’è il tango, io sono anche un ballerino. Lavoro molto sui testi, non mi ritengo né scrittore né poeta, li rivedo, li limo, ci lavoro parecchio. La natura ti dà un dono, non te ne dà tanti. Scrivo quello che sento, non ho la presunzione di piacere a tutti. I pezzi poi devono andare avanti con le loro gambe. La buona musica ci sarà sempre, fa parte dell’anima umana».
Elisa Russo, Il Piccolo 18 Novembre 2016