Intervista a Gino Paoli, a Trieste il 17.11.17

Domani alle 20.30 il Teatro Orazio Bobbio propone lo spettacolo «Due come noi che…», concerto con Gino Paoli ed il pianista di fama internazionale Danilo Rea.

Domani porta il suo spettacolo con Danilo Rea a Trieste. Partiamo dalla città: che ricordi la legano a Trieste, e alla sua natia Monfalcone? E più nello specifico, ricorda qualche concerto “storico” da queste parti (so che suonò nel ’74 nel Parco di San Giovanni a Trieste, da dove partì la rivoluzione basagliana)

In realtà da Monfalcone sono andato via che ero molto piccolo, ma ne conservo le radici: in casa mia, anche a Genova, si parlava “bisiacco” nonostante mio padre avesse deciso che si sarebbe parlato il toscano perché quella era la lingua “italiana”. In realtà dopo pochi mesi parlava veneto anche lui, come spesso succede con le donne. Credo che sia una prerogativa della gente di confine, quella di avere una propensione per le lingue.

Per quanto riguarda Trieste credo sia una città bellissima, mitteleuropea, forse perché è stata a lungo una zona franca. I ricordi più belli che ho della città sono quelli legati a Basaglia: non l’ho mai conosciuto ma ho avuto modo di collaborare con il suo braccio destro, Dell’Acqua, che ancora oggi è uno dei miei più cari amici. La prima volta ho suonato al manicomio di Trieste, e sono tornato quando ha chiuso e mi è rimasto nel cuore. Penso che il loro lavoro sia stato, e sia ancora oggi seriamente importante: il merito di Basaglia è stato quello di far capire che i pazienti sono prima di tutto persone e per questo vanno trattati con dignità. C’è da dire che a Trieste grazie alla loro opera è successo qualcosa di positivo, purtroppo altrove non è andata altrettanto bene visto che la legge non è stata supportata da finanziamenti o dall’apertura di centri appositi, quindi manca assistenza specifica.

 Monfalcone/Trieste, Genova, Livorno: il mare che valenza ha nella sua vita (e nella sua arte)?

Il mare nella mia vita è fondamentale, basti pensare che proprio sul mare si sono incontrati i miei genitori: si sono conosciuti al circolo ufficiali, mio padre era sempre nei cantieri navali in allestimento perché era in servizio sui sommergibili. Se non ci fosse stato il mare io non sarei qui.

 Com’è nato e come si è sviluppato questo sodalizio artistico con Rea?

La collaborazione con Danilo non l’ho cercata ma è capitata. È frutto di un incontro di quelli che capitano raramente. Ci capiamo al volo senza bisogno di parlare. Io canto come se suonassi e lui suona come se cantasse. Questa grande armonia forse è dovuta al fatto che abbiamo una sensibilità simile. Ormai siamo una “coppia di fatto” della musica e, dopo “Due come noi che…” e “Napoli con amore”, a settembre abbiamo pubblicato la nostra ultima fatica in duo: “3”, che è dedicato ai capolavori della musica francese.

 Cosa ci può anticipare dello spettacolo “Due come noi che…”?

Non c’è una scaletta predefinita perché con Danilo suoniamo in piena libertà, sull’onda dell’emozione del momento. E ci basta uno sguardo per capirci. La gente viene ai nostri concerti per ricevere emozioni. Quindi ogni volta che andiamo in scena cerchiamo di gettare un ponte tra noi e il pubblico. E quando riusciamo a stabilire questo contatto di emozioni è un’esperienza unica, che ti arricchisce incredibilmente.

 Le donne sono sempre state ispiratrici delle sue canzoni, spesso ha detto di essere stato fortunato ad incontrarne di straordinarie. Che effetto le fanno le notizie che riempiono tristemente la cronaca, dalle molestie nel mondo dello spettacolo ai femminicidi?

Le donne devono trattate con dignità, ma questo vale per ogni essere umano, al di là del genere. Il rispetto è il minimo che un uomo, se è degno di questo nome, possa fare all’interno di una comunità, anche se oggi va poco di moda. Ma resto perplesso quando si scatena una sorta di “caccia alle streghe”, quando ci vanno di mezzo tutti, perché si corre il rischio di banalizzare la realtà e di sminuirla.

 Il pubblico di massa spesso conosce/ricorda solo un paio di hit/tormentoni di un artista. Che invece, come lei, ha una vastità di repertorio spesso costellata di tesori nascosti (che il pubblico più attento conosce e apprezza). È un aspetto che ad un artista dà fastidio o ci si sente comunque onorati di aver composto brani che rimarranno più di altri?

No, nessun fastidio, anche perché nei concerti c’è sempre l’occasione di far ascoltare tutto. L’importante è che si cerchi di scrivere canzoni che siano tutte allo stesso livello. Poi il successo di un brano è fatto per il 20% dal talento e per il resto di fortuna, perché se rincorri il successo lui scappa. Ad esempio quando pubblicai la Gatta vendette pochissime copie, la fortuna di quella canzone sono stati i juke-box.

 Inquietudine interiore: come ha imparato a placarla o comunque a conviverci?

Io ci convivo da sempre, ma è una “provvisorietà” che non mi dispiace. L’inquietudine, o la malinconia, sono una chance: una tensione che ti porta a fare e che ti spinge. Altrimenti sarei fermo.

Segue la musica odierna? E se sì, c’è qualche cantautore che secondo lei lascerà il segno al pari della scuola genovese?

No, non seguo poco la musica di oggi, non seguo le mode o le “hit”. Ascolto sento le cose che mi piacciono da sempre.

 Gli impegni per questa fine 2017 e per il 2018?

L’impegno principale è quello di finire di scrivere quello che sto scrivendo, e che poi venga ascoltato. Del resto non mi preoccupo molto.

 

Elisa Russo, Il Piccolo 16 Novembre 2017

Gino Paoli

 

 

 

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