PREMESSA:
Qualche anno fa (2009-10, credo) ho conosciuto Giovanni Verini Supplizi: avevamo (abbiamo) in comune la grande passione per Edda e i Ritmo Tribale, ci siamo incrociati a qualche concerto di Edda a Milano. Io stavo scrivendo quello che poi è diventato “Uomini – I Ritmo Tribale, Edda e la scena musicale milanese” (Odoya, 2014) ed una volta Gianni mi disse: “ma sai che pure io sto scrivendo un libro?” (… quello che sarebbe poi uscito come “Bassa Fedeltà”, Studio Graffa Edizioni 2014) e così ci demmo qualche consiglio, qualche impressione, qualche scambio di paranoie e preoccupazioni sul mondo editoriale… I nostri libri sono usciti a poca distanza, negli ultimi mesi del 2014, e forse qualche tempo prima nessuno di noi due ci avrebbe scommesso (dico sull’uscita effettiva del proprio libro). Alla fine è andata bene ad entrambi e ho fatto questa premessa per dire che ho “empatizzato” con Giovanni un po’ come fanno le mamme incinte che seguono assieme i corsi pre-parto. E che sono soddisfatta di vedere la sua creatura bella e in salute. E molto contenta, quindi, di aver letto “Bassa Fedeltà”, di aver realizzato un’intervista con l’autore e di consigliarvi la lettura (del suo bel libro e di questa intervista!).
SINOSSI:
Nel 2001 Giovanni trasforma in realtà il suo sogno di bambino: lavorare in un negozio di dischi! Da quel momento niente sarà più lo stesso: il mondo visto da dietro il bancone si anima di personaggi surreali dalle richieste più stravaganti. Permalosi, esigenti, appassionati, ignoranti, saccenti, colti, timidi, simpatici, fracassoni, ladruncoli, svitati… insomma, tutte le sfumature dell’umano a caccia di musica.
Bassa Fedeltà narra le storie che si sono dipanate lungo i primi tredici anni di vita di Wanted Record (Bari). Storie vere, storie di ordinaria follia sulle quali ridere e anche riflettere perché quegli umani siamo noi.
INTERVISTA:
Spesso leggendo il libro ho sentito come se ci fosse un certo grado di esasperazione dietro. Come se per te scrivere fosse un modo per sfogarti, toglierti qualche sassolino dalla scarpa… è stato in qualche misura così? Ti sei sentito meglio, è stato terapeutico fissare tutto su carta?
«È stato sicuramente così e anche molto terapeutico allo stesso tempo. Per certi versi ho “vomitato” tutto (o quasi) quello che avevo dentro proprio perché portato all’esasperazione e, se almeno non lo raccontavo in qualche modo, impazzivo. Poi ovviamente c’è stata anche la componente ironica. E voler far capire alla gente cosa si prova a lavorare a contatto con il pubblico».
Allo stesso tempo ho visto una buona dose di coraggio nel raccontare furti, bugie, scorrettezze, maleducazione di certi clienti… quanto ti è costata questa sincerità? Ti è capitato che qualcuno si sia riconosciuto e non abbia gradito?
«Non ancora. O meglio, è tutto anonimo quindi prendersela sarebbe ridicolo. Tranne qualcuno che potrebbe prenderla un po’ male… in effetti devo anche aggiungere che ho “censurato” molto, quindi casi troppo “palesi” li ho evitati, peccato».
E invece quanto peso ha l’ironia? Cioè: ti è capitato più spesso di riderci su o di incazzarti per ciò che ti capitava?
«Ora ci rido, anzi. Ne è venuto fuori un libro per gioco e sono anche contento. Però quando le vivi, ovviamente dipende dall’episodio, è seccante, anche perché tu in quel momento lavori e quindi non sempre sei rilassato a viverne di tutti i colori come si evince dal racconto».
Quando hai deciso di scrivere il libro e quanto tempo ci hai messo per realizzarlo? Visto che racconti anche episodi accaduti parecchi anni fa come ti sei regolato: appunti, diari o grande memoria?
«Come dicevo prima, l’idea è nata per gioco circa nel 2004, raccontando aneddoti ed episodi agli amici davanti ad una birra, per questo molti li ho imparati a memoria. Non credevo realmente di riuscire a scriverci un libro però. Anni dopo ho buttato giù qualche riga ma dato che ero impegnatissimo al lavoro lo abbandonai poco dopo, poi mi sono chiuso in casa durante le ferie estive di qualche anno fa e in un mese/due ho partorito questo libro. Ovvio negli anni avevo preso anche diversi appunti però la memoria devo dire che ha funzionato abbastanza. Ti assicuro che è tutto vero quello che c’è scritto nel libro, anzi come ti ho detto ho dovuto tagliare persino, per evitare che qualcuno si offendesse sul serio».

Non posso non farti una domanda sulla parte del libro dedicata ad Edda! Vuoi aggiungere qualcosa in merito (quel che ti viene!)?
«Che dire, con Edda ora siamo molto amici e anche con alcuni membri del suo entourage. Questa estate ho vissuto con loro tutta la tournée Appulo/Lucana e devo dire che oltre a cinque bellissimi concerti visti ho avuto il piacere di stare con loro, è gente molto simpatica, c’è un bel feeling nel gruppo, poi con Fabio Capalbo ad esempio, siamo amici da tempo ormai. Quindi oltre l’apprezzamento artistico c’è anche una stima personale da parte mia. Spero Edda esca con un nuovo disco presto, grandissimo artista, purtroppo ancora poco capito, ma si sa, da noi vanno avanti ben altre band, ma la colpa è della gente, è pigra nell’ascoltare e va dietro alle solite band».
Come vedi il tuo futuro prossimo (lavorativamente parlando)?
«Bella domanda. Difficile risponderti. Ora secondo me i negozi di dischi stanno respirando un po’ grazie alla “seconda vita” del vinile, ma non so se in Italia durerà o meno o sarà una sorta di moda passeggera, spero di no. Io vorrei continuare a fare questo mestiere, anche se non in Italia o a Bari, sarei disposto ad andare anche all’estero, chissà… sarebbe anche un sogno».
In passato sono stata un’assidua frequentatrice di negozi di dischi (da diversi anni nella mia città hanno chiuso tutti)… una cosa che ho sempre notato e che mi pare emerge anche dal tuo libro è che la clientela femminile è in netta minoranza rispetto a quella maschile. Confermi o smentisci? E se in caso confermi che spiegazione dai alla cosa?
«Certo che confermo. Infatti un mio amico mi dice sempre “non potevi aprire un negozio di intimo femminile?” perché quando viene a trovarmi trova quasi sempre solo maschi all’interno. Non so perché, le donne comprano meno musica da sempre e se parliamo di collezioniste, davvero sono pochissime. Nella mia testa ho sempre pensato, notando anche le mie amiche, che pensano di più ad altro, abbigliamento, trucchi o cose appunto più da “donna”. La musica la ascoltano certo, ma che siano patite quanto alcuni uomini in effetti son in minoranza. Son poche anche le donne che vedi dietro un bancone di dischi».

La clientela che racconti sembra affetta da “freakitudine” e stramberia a vari livelli. Secondo te è in qualche modo legato alla musica oppure se avessi avuto una pizzeria al trancio ne avresti avute altrettante da raccontare?
«Sicuramente il contatto con il pubblico porta a qualsiasi tipo di richiesta assurda, un libro simile potenzialmente potrebbe scriverlo chiunque abbia un’attività al pubblico. Però, il negoziante di dischi è esposto a ciò almeno tre volte perché il cliente di per sé e oggi ancor di più, è un fissato, un collezionista, un maniaco a tal punto da diventare paranoico, quindi da lì fuoriescono tutte le sfaccettature e le stranezze che descrivo nel libro».
Visto il titolo del tuo libro non posso non rubare un quesito ad Hornby: secondo te ascoltiamo musica triste perché soffriamo o soffriamo perché ascoltiamo musica triste!?
«La prima. Chi ascolta musica triste (e io sono il primo) gode nell’ascoltarla, quasi ci trova un piacere, difficile spiegarlo, ma ad esempio “Semper biot” del nostro Edda è una bella botta come disco, però per me è un capolavoro assoluto, guai se non ci fosse! Se poi vuoi davvero crogiolarti nella tristezza (musicale) più profonda credo che Antony & the Johnsons sia uno degli artisti che più mi ha “buttato giù” ☺. Il primo omonimo album parte con due brani che ti stendono».
Dal libro emerge il tuo grande amore per la musica, quindi chiudiamo in bellezza. Nel 2015 da poco concluso cosa ti ha emozionato di più (dischi nuovi, concerti, riscoperte di dischi del passato… quel che vuoi!)
«Mmm… vado sempre in crisi davanti alla richiesta di playlist, temo di dimenticare sempre qualcosa e le faccio sull’emozione del momento. Come concerti, tra i più belli visti quest’anno direi Nick Cave e Marc Almond a Londra, Morrissey ovunque… Come riscoperta, sarò ripetitivo, ma pochi giorni fa ho ripreso “Psycorsonica” dei Ritmo Tribale, lo conosco a memoria ma non lo ascoltavo da parecchio, e ogni volta mi dico “Cavolo che disco hanno fatto questi? Se uscisse oggi avrebbe forse più successo che all’epoca”».
Elisa Russo
Grazie di cuore a Giovanni Verini Supplizi!
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