Venerdì alle 21 al Rossetti va in scena “FantaBollani”: nella notte degli Oscar del cinema fantastico europeo – la 21a Méliès d’or Ceremony – Stefano Bollani sarà ospite d’eccezione del Trieste Science+Fiction Festival, con un programma unico: sonorizzazioni di film classici, sorprese e simboli del grande cinema fantastico europeo delle origini, in una scaletta disegnata assieme agli organizzatori del festival.
Nelle opere di Bollani, grande appassionato di fantascienza, gli alieni sono un tema ricorrente: dall’album «Arrivano gli alieni» al libro «Dialogo tra alieni». Da qui l’idea del Trieste Science+Fiction Festival di proporre al celebre pianista jazz di sonorizzare dal vivo alcune delle pellicole più affascinanti dell’immaginario fantastico europeo.
Stefano Bollani racconta: «Ho tanti ricordi di Trieste perché è una città che mi piace molto, ci sono venuto anche indipendentemente dai concerti. E una decina d’anni fa mi sono fermato per una masterclass di due giorni che ho tenuto al Conservatorio Tartini, è una cosa che non faccio quasi mai: non sono un difensore dei conservatori perché hanno quel nome terribile che dice tutto: vogliono conservare anziché inventare, immaginare. A Trieste, una delle rare volte, avevo accettato e avevo avuto una bella impressione, al Tartini avevo visto un bell’ambiente. E mi ero goduto una città meravigliosa. Lo dico sempre: è una delle più belle d’Italia ma anche una delle meno conosciute, molti la ritengono lontana e non la visitano ed è un peccato».
Conosceva già il Trieste Science+Fiction Festival?
«Sì ma non ci ero mai stato e sono molto contento che mi abbiano chiamato perché sono appassionato del genere, sia declinato al cinema che alla letteratura».
Che spettacolo ha preparato?
«Lo sto ancora preparando. Come sempre è all’insegna dell’improvvisazione, sta volta però il duo lo faccio con un filmato ed è comodo, perché lui fa sempre le stesse cose! Quindi posso permettermi, tutte le volte che accade una cosa, di scegliere se enfatizzarla o meno. Per me è molto divertente calarmi nei panni del pianista del cinema muto, che guardava il film con il pubblico e reagiva in diretta. Tutto si svolge nel presente, non ho una colonna sonora registrata. Sto guardando i film ed immaginando delle cose ma non scrivo la musica prima, la improvviserò durante la serata».
Il suo curriculum è impressionante per quanto è denso di successi anche in ambiti diversi (musica, tv, libri). Un consiglio per usare al meglio il proprio tempo?
«È una questione di entusiasmo. Tutte le cose che faccio sono volute. Capitano per caso, me le hanno chieste, le ho proposte io ma in ogni caso le ho abbracciate, e se tu hai veramente voglia di fare le cose il tempo lo trovi: di questo sono convinto».
Va detto che ha cominciato presto, a sei anni.
«Da bambino volevo fare tutte le cose che sto facendo: lo scrittore, il cantante, il musicista, l’attore e il presentatore tv. Mi è andata bene perché ho trovato subito il pianoforte, che è un bell’alleato, da cui poi ho fatto diramare tutto il resto».
E poi sono importanti gli incontri.
«Decisamente. Certo c’è lo studio e tutto il resto ma poi si tratta di incontrare le persone giuste che ti fanno fare uno scatto in avanti. Cito sempre Enrico Rava, l’ho conosciuto nel 1995, avevo 23 anni e per me lui era un idolo eppure ha instaurato subito un clima per cui io mi sentivo ascoltato. Ascoltava quello che suonavo e ne traeva ispirazione, ed è la cosa migliore che ti possa capitare».
Com’è quando si passa dalla conoscenza dell’idolo a quella dell’uomo in carne ed ossa?
«Molto pericoloso, però mi è quasi sempre andata bene: Chick Corea e Caetano Veloso, che ascoltavo da sempre, non mi hanno deluso per niente, in loro ho visto due bambini, c’è quell’entusiasmo per me fondamentale. Il bello della musica è che non occorre usare tutte quelle parole che devono usare gli altri, si può suonare insieme anche senza conoscersi, improvvisare assieme significa tirar fuori qualcosa che neanche tu sai di avere, ti lasci attraversare dall’ispirazione e quando questo accade con un’altra persona sembra magico, ma in realtà stiamo usando un vocabolario che entrambi consociamo».
Collaborazioni trasversali, da Pat Metheny e Bill Frisell passando per Irene Grandi e arrivando a Paolo Benvegnù e Bobo Rondelli. A chi dice no?
«Per fortuna i no sono tanti. È divertente, ricevo qualsiasi richiesta dal tenere un seminario su “ordine implicito ed ordine esplicito nella struttura del caos” alla proposta di un concerto in duo, molti anni fa, con Rocky Roberts».
La rivedremo in tv?
«Spero di sì, è un impegno grosso e va preparato per tempo. Adesso non è il momento perché suono tanto in giro, dopo Trieste e Milano sarò in Thailandia e a Cuba».
Portando spettacoli diversi?
«Certo, se no m’annoio».
Elisa Russo, Il Piccolo 2 Novembre 2017