INTERVISTA A THE LEADING GUY

TLG_by Carlo Pacorini_1«Ho cercato di narrare una “terra promessa” che nella vita è impossibile da trovare. Un non-luogo in cui esprimersi liberamente. Uno stato mentale che possa salvarci e ci faccia sentire liberi, anche solo per il tempo di una canzone»: “Land Of Hope”, nuovo singolo di The LeadingCover LAND OF HOPE_low res_designed by Irene Fiorentini Guy, è uscito da pochi giorni ed è subito balzato nella Top Ten dei brani più condivisi di Spotify in Italia, molto apprezzato anche in altri paesi europei (nella classifica “Viral 50” di Spotify Svizzera e in molte playlist internazionali). È l’inizio di un nuovo corso per il cantautore bellunese (triestino d’adozione), Simone Zampieri, in arte The Leading Guy: è il primo brano ad uscire per la Sony. Il brano è accompagnato anche da un videoclip: «Realizzato a Trieste con un team di eccezionali professionisti – racconta il songwriter – con la regia di Carlo Pacorini. Abbiamo scelto uno stile di montaggio molto serrato e rapido, giocando sulla dualità del nostro mondo, mettendo in contrapposizione visiva il passato, conosciuto, con il futuro, bendato, che ancora è celato e verso il quale si riservano tutte le speranze e le inquietudini». Dagli esordi con la Busy Family, al debutto solista “Memorandum”, passando per le aperture di artisti come Jack Savoretti e 2 Cellos alla colonna sonora della campagna mondiale Davidoff, la carriera del ragazzo con l’adesivo di Bob Dylan sulla chitarra è in continua ascesa: dopo l’estate un album in uscita per la Sony e prodotto da Taketo Gohara (Vinicio Capossela, Edda, Verdena, Marta sui Tubi, Ministri…). «Avere Gohara al mio fianco – commenta The Leading Guy – mi ha permesso di lasciarmi andare e osare un po’ di più rispetto al primo disco. Ho scritto le canzoni in un periodo lungo e spesso tra un brano e l’altro sono passati dei mesi. Questo mi ha permesso di fare le cose con più calma e di valutare cosa meritava davvero di essere registrato. Ho scritto il precedente “Memorandum” in 20 giorni e ho passato i 3 anni successivi a scrivere questo nuovo lavoro. Non c’è un messaggio globale ma ogni canzone rappresenta uno stato d’animo diverso. La più grande fortuna è stata quella di lavorare con grandi musicisti (Alessandro “Asso” Stefana, Sebastiano De Gennaro, Mauro Ottolini, Julia Helen St. Louis, Kenneth Bailey, Vincenzo Vasi, Filippo Pedol, l’Edodea Quartet, il Maestro Stefano Nanni, Joyce E. Yuille e Chiara Vidonis), hanno dato un senso a tutto il mio percorso di questi anni. È un lavoro molto completo e mi sono divertito tantissimo a fare questo nuovo percorso. “Memorandum” è stato un disco di autoanalisi a tratti egoista. Ho scritto molto di me per cercare di capire gli aspetti che a suo tempo mi complicavano la vita. Il nuovo lavoro ha un respiro totalmente diverso. Lavorare con molte persone mi ha permesso di distogliere lo sguardo da me stesso e scrivere di ciò che mi circonda. Se “Memorandum” è stato il disco dell’io questo sarà il disco del Noi».

Sulla nuova casa discografica racconta: «Alla Sony sono arrivato gradualmente, passo dopo passo, senza fretta. Approdare ad una major non deve essere l’obbiettivo della musica che si fa ma una conseguenza. In questi anni ho sempre cercato di muovere passi piccoli ma su basi solide. Questo atteggiamento allunga i tempi di crescita ma ti fa godere di ogni piccola conquista. Essere in una realtà come la Sony mi darà la possibilità di arrivare ad un pubblico più numeroso ma sono felice di esserci arrivato oggi, senza compromessi, e non bruciando le tappe. Per anni ho seguito personalmente ogni aspetto della mia carriera ed è una cosa che alla lunga logora i musicisti. Oggi ho la fortuna di lavorare con persone di cui mi fido e che amano le mie canzoni. Posso pensare alla musica senza perdermi nei tecnicismi tecnico burocratici che come ha detto Manuel Agnelli ti rendono un “musicista contabile”. Se sono un artista felice lo devo a chi mi aiuta ogni giorno lasciandomi libero di fare ciò che amo. È una fortuna che va costruita con molto sacrificio».

Sulla scelta della lingua: «Ho iniziato a scrivere canzoni a 17 anni e sono sempre state in inglese. Il modo in cui vogliamo esprimerci spesso non è una scelta ma una necessità. Ho un pubblico che non si limita al territorio italiano e questa è una cosa di cui sono molto felice. Cantare in inglese mi ha dato la possibilità di suonare anche all’estero, ma soprattutto è il mondo che conosco e che sento più mio. Ascolto poca musica italiana e quasi tutta dal passato. Da bambino sono cresciuto con i dischi di Guccini, Dalla e De André e la forza delle loro idee e delle loro parole mi lascia ancora oggi stupefatto. Del presente mi capita di ascoltare le cose che qualche amico mi fa sentire e alcune sono davvero grandi canzoni ma rimangono episodi isolati.

Non critico la musica italiana ma la conosco troppo poco per poterla giudicare. Non ho mai pensato di scrivere in italiano ma spesso mi è stato chiesto. È una cosa che non mi dà emozione e non mi fa stare bene, di conseguenza mi riesce molto male. Per il futuro chissà…». E sui prossimi concerti: «L’aspetto live è uno di quelli a cui tengo di più. Il contatto con il pubblico è una delle cose più importanti per me. Le canzoni sono nate tutte dalla mia voce e dalla mia chitarra, ma i musicisti che mi hanno accompagnato in studio le hanno rese perfette per un approccio live più energico rispetto a “Memorandum”. Suonerò con una band ma di sicuro capiteranno episodi in solitaria nel tour che verrà. I concerti intimi sono una cosa che non voglio abbandonare». Dei social dice: «Cerco di mantenere un equilibrio in tutto ciò che faccio. Il mio utilizzo dei social è legato alla mia musica e al desiderio che le persone possano ascoltarmi. Se domani smettessi di scrivere canzoni probabilmente mi libererei dei social. Spesso ho l’impressione che molti artisti scrivano canzoni per dare un senso al loro profilo Instagram. Le foto, i social, le interviste devono essere uno strumento per far conoscere la propria musica, non se stessi. Sono grato a chi mi segue e mi scrive, ma di sicuro il modo migliore per comunicare rimane una birra alla fine di un concerto». E sulla sua città d’adozione: «Io a Trieste devo molto. Qui vivono molte delle persone a cui voglio bene e sono il sostegno a ciò che faccio. La musica mi porta spesso lontano e ogni volta che ritorno sono felice di vivere in una città come questa anche se il suo isolamento geografico è un punto di forza che a tratti diventa maledizione. Trieste poggia su degli equilibri che non ho trovato in nessun altra città ed è perfetta per il mio carattere».

Elisa Russo, Il Piccolo 6 Aprile 2018

The Leading Guy

Articoli consigliati