Domani sera al Teatro Miela suonano gli Stiff Little Fingers, la band punk rock di Belfast che nel ’79 sbancò con l’album «Inflammable Material». E al Tetris c’è Joe Lally, il progetto solista del mitico bassista dei Fugazi. Martedì al Tetris arriva uno dei nomi di punta della scena rock’n’roll nostrana, The Mojomatics. Il duo veneto composto da Mojomatt (chitarra, voce e armonica) e Davematic (batteria e percussioni), ha aperto per: Gogol Bordello, Lords Of Altamont, Klaxons, Jon Spencer, Arctic Monkeys e tanti altri e sta conquistando l’Europa e gli Usa con il terzo album «Don’t pretend that you know me».
«Don’t pretend that you know me» è stato accolto benissimo da critica e pubblico. Siete soddisfatti di come si sono evolute le cose dopo l’uscita dell’ultimo album?
«Sì, siamo veramente soddisfatti, sapevamo di godere di buona reputazione nella scena garage-punk europea, ma il nuovo disco ci ha permesso di allargare il nostro pubblico. Di renderlo più vario e non circoscritto ad una determinata scena. Inoltre siamo rimasti particolarmente colpiti dalla risposta Americana: lì il disco è uscito solo da un mese, ma è già in heavy rotation in moltissime radio indipendenti e nazionali. Stiamo già lavorando ad un futuro tour oltreoceano, e le premesse non potrebbero essere migliori».
Avete suonato moltissimo in giro, com’è andato il tour europeo? Dove avete trovato il pubblico più affezionato/ dove vi è piaciuto di più suonare?
«I tour sono l’essenza dei Mojomatics. Negli ultimi 4 anni abbiamo passato più tempo in giro che a casa. E l’Europa l’abbiamo ormai girata in lungo e in largo. Le cose migliorano di volta in volta ed il pubblico ai concerti va moltiplicandosi soprattutto grazie al passaparola. Perdipiù con l’ultimo tour di maggio-giugno abbiamo avuto la possibilità di suonare in locali più grandi davanti ad un pubblico più variegato. La Germania è sempre stata particolarmente calorosa nei nostri confronti, ma dobbiamo ammettere che anche la Francia ci ha riservato alcune serate memorabili».
E l’esperienza in Sud Africa?
«Grazie alla Fondazione Arezzo Wave Italia abbiamo avuto l’ottima opportunità di rappresentare l’Italia all’ Oppikoppi Festival di Johannesburg, un evento internazionale in una location incredibilmente bella. E visto che si trattava di un’occasione abbastanza irripetibile abbiamo colto la palla al balzo per fare un piccolo tour laggiù».
Siete una delle poche band italiane esportabili all’estero. Per noi motivo d’orgoglio. E voi come vivete questo ruolo?
«Sinceramente non abbiamo mai considerato la musica in termini di esportabilità o nazionalità: abbiamo sempre suonato quello che ci piace senza mai far differenza tra suonare all’estero o a casa nostra».
L’ultima volta che avete suonato a Trieste, all’Etnoblog, il locale era strapieno e il clima rovente. Siete molto amati qui in città. Conoscete un po’Trieste, qualche band della zona?
«Il pubblico di Trieste è sempre stato molto affettuoso nei nostri confronti, è una di quelle città in cui ci fa sempre particolarmente piacere tornare. Di quelle zone conosciamo diverse persone coinvolte in gruppi, radio, organizzazione di concerti come I Gonzales, i ragazzi dell’Etnoblog e Tetris e il grandissimo dj Michael Myers, solo per citarne qualcuno…».
Nella formazione attuale siete nuovamente in due? So che avete anche provato l’innesto di un bassista, pensate di riallargare la formazione in futuro?
«Il tour promozionale di “Don’t pretend that you know me” era incentrato sui pezzi dell’ultimo album, che necessitavano dell’apporto di un basso. Da lì l’idea di aggiungere un nuovo musicista per il live. Terminato ciò siamo tornati ad essere in due e le prossime scalette saranno più varie con pezzi di tutti i nostri lavori. Non escludiamo la possibilità di aggiungere in futuro altri musicisti a seconda delle necessità».
In un periodo di downloading selvaggio e di crisi del mercato discografico, ho l’impressione che la maggior parte dei cd vengano venduti ai concerti. Quando il pubblico apprezza un live, è stimolato ad acquistare il cd. Nel vostro caso come sta andando?
«Hai centrato in pieno il bersaglio, per noi è sempre funzionato così: la miglior promozione ce la siamo sempre fatta suonando tantissimo dal vivo e affrontando lunghi tour. È lì che abbiamo venduto la maggior parte dei nostri dischi».
Due parole sul vostro rapporto con la Ghost Rec.
«La Ghost ci ha consentito di avere la visibilità che ancora ci mancava in Italia; hanno fatto un buon lavoro promozionale su televisioni, giornali e radio, non solo in Italia ma anche in Europa e in America, cosa che ci stava particolarmente a cuore».
Gogol Bordello, Lords Of Altamont, Klaxons, Jon Spencer, Arctic Monkeys… avete aperto per un sacco di nomi importanti. Cosa vi hanno lasciato queste esperienze?
«Aprire ad una band “famosa” è sempre un’ottima occasione per farsi ascoltare dai loro numerosi fans. Sai quante ragazze hanno iniziato a seguire i Mojomatics grazie al concerto degli Arctic Monkeys?!».
Elisa Russo, Il Piccolo 28 Ottobre 2008