INTERVISTA AI MARTA SUI TUBI, IL 04.11.16 A TOLMEZZO (UD)

martasuitubi3Marta sui Tubi, una delle band più amate nel panorama indipendente nazionale, sceglie il Friuli Venezia Giulia come prima tappa del nuovissimo tour autunnale/invernale “LoStileOstile”. Venerdì alle 21, il meno etichettabile dei gruppi italiani, fondato dai marsalesi Giovanni Gulino e Carmelo Pipitone, porterà la sua dirompente carica sul palcoscenico del Teatro Candoni di Tolmezzo, nell’ambito di MusiCarnia (rassegna firmata Euritmica). Sarà l’ultima occasione per vedere i Marta sui Tubi live, prima di una lunga pausa: la band, infatti, si prenderà uno stop di oltre un anno – il primo nella loro lunga carriera – senza concerti e senza uscite discografiche. Questo giro finale nei club sarà quindi l’occasione per festeggiare 14 anni di attività. I Marta sui Tubi sono un caposaldo del rock in Italia e nella loro lunga carriera  hanno collaborato con grandi artisti come Lucio Dalla, che li definì “la migliore live band italiana”, e Franco Battiato, con il quale hanno duettato nel singolo “Salvagente”. Hanno preso parte al Festival di Sanremo 2013, nella categoria Big, e suonato in tutta Italia. A Tolmezzo ci sarà la formazione attuale, tornata al trio originario: Giovanni Gulino alla voce, Carmelo Pipitone, voce e chitarra e Ivan Paolini alla batteria. Ricorda Gulino: «Uno dei primi concerti in assoluto fu a Mortegliano, all’epoca eravamo conosciuti solo un po’ a Bologna, Milano e andare in provincia di Udine era un’incognita e invece fummo accolti in maniera straordinaria, fu un’iniezione di fiducia incredibile. Mi piace molto la terra friulana: un popolo vero, onesto e genuino. E poi avete tutto: il mare e la montagna, come noi siciliani».
Stavolta che spettacolo portate?
«Sarà un concerto diverso da quello proposto quest’estate, che era incentrato sull’ultimo disco. Per queste date invece ripescheremo altre canzoni, sarà un excursus dal primo all’ultimo album».
Come mai seguirà una lunga pausa?
«Non l’abbiamo mai fatto, dal novembre 2003 non abbiamo mai saltato una tournée, quasi 15 anni ad un ritmo di 70-80 concerti l’anno. Adesso vogliamo stare lontani dalle scene almeno un anno, fermarsi non vuol dire ovviamente non produrre nuove canzoni. Io e il batterista, Ivan, abbiamo due bambine e ci vogliamo godere questi momenti con loro. Rallentiamo per ripartire con più slancio nel 2018. Comunque senza musica non possiamo stare, quindi torneremo!»
Dove vive ora?
«Vivo a Milano da 12 anni, la trovo molto stimolante e ormai tutti gli amici sono qui. Musicalmente c’è un bel fermento, anche se noto che è cambiata un po’ l’attitudine. Fino a pochi anni fa la musica indipendente/alternativa era caratterizzata da chitarroni e suono robusto; adesso si sta assistendo allo sdoganamento del pop oppure si va verso l’elettronica».
Che cos’è la musica indipendente oggi?
«Il concetto aveva più senso fino a 10-15 anni fa, quando c’era un distacco tra le major ed il sottobosco di etichette indipendenti. Adesso c’è stato un livellamento verso il basso, le major vanno a pescare nella musica indipendente, realtà indipendenti mirano ad entrare nelle major. Tranne le band punk e hardcore, per il resto non si possono definire le altre come indipendenti, se questo è inteso nel senso di rottura. Io faccio un’unica divisione: musica becera e musica fatta col cuore»
E i talent show?
«Non mi piacciono. Ogni tanto li guardo per capire, anche dal punto di vista sociologico. Mi ricordo che quando ero ragazzino e ascoltavo la new wave c’erano le major che negavano di costruire i prodotti a tavolino. Adesso il talent ti fa vedere nel dettaglio come costruisce i suoi prodotti. Prendono ragazzi che sanno anche cantare, ma non hanno un vissuto, esperienza, non sanno raccontare e scrivere. Si va a premiare personaggi che hanno una bella voce e una buona immagine ma che probabilmente non hanno un’anima, e l’anima non la vai a sostituire con i soldi. È un esempio per i giovani che non mi piace, come dire: “se vuoi vivere di musica devi passare dalla tv, funzionare davanti ad una telecamera, se non sai scrivere canzoni non ha importanza perché troviamo noi chi te le scrive”. Io vengo da un altro tipo di esperienza, la coscienza che mi sono creato in anni di concerti in piccoli locali, bar, sotto i portici di Bologna… il pubblico te lo devi costruire piano piano, farli affezionare un po’ per volta. Vendere il sogno che tutto è semplice perché vai in tv ti può dare 10 minuti di celebrità ma subito dopo ti ritrovi con un pugno di mosche in mano, ritorni nell’anonimato ed è peggio di prima. I nomi rimasti di tutti i talent sono davvero pochi, i cantanti pop innocui di Amici, per X Factor se togli Mengoni davvero poco…».
La follia sembra essere un tema ricorrente nel vostro ultimo disco. È così?
«Viviamo in un’epoca frenetica, si rischia di assecondare certi ritmi col proprio cervello che può andare in tilt. A Milano vedo spesso persone che parlano da sole, guardo bene e non hanno l’auricolare. La società di oggi porta anche il rischio di perdere la testa, in alcune canzoni c’è».

Elisa Russo, Il Piccolo 2 Novembre 2016

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