Insieme in esclusiva per il tour italiano, gli americani Akron/Family con Kid Millions (batterista degli Oneida) suonano domenica alle 22 all’Etnoblog di Riva Traiana. L’evento, (una collaborazione tra Circolo Etnoblog e Hybrida) rientra nel Tree of Life Infinite Roots tour 2012: un progetto in cui gli Akron/Family ribadiscono la loro attitudine comunitaria e aperta di fare musica. Sin dagli esordi, si sono ispirati a realtà come Sun Ra Arkestra, Grateful Dead e Wu Tang Clan e hanno pensato al proprio lavoro artistico come a un percorso in continuo divenire, costellato da collaborazioni e incontri sempre nuovi e stimolanti. E’ con questo spirito, e nella più generale inclinazione a seguire sentieri musicali poco battuti, che la loro strada ha incrociato (sul palco o in studio) quella di eroi del free-jazz come Hamid Drake e William Parker, di chitarristi/rumoristi/sperimentatori come Keiji Haino, di weird folkers come i Megafaun o dei membri della famiglia di Woody Guthrie. E in fondo rimanda alla medesima filosofia ed estetica il fatto che, negli innumerevoli concerti tenuti in dieci anni di attività, migliaia di persone, prese da spontanea eccitazione o invitate a farlo dai membri del gruppo, si siano ritrovate sul palco a cantare e suonare insieme a loro.

Miles Seaton e Seth Olinsky hanno conosciuto John Colpitts (Kid Millions) in occasione della loro partecipazione al Damo Suzuki network del 2007. Da allora Kid si è unito agli Akron/Family in numerose performance, tra cui quella al prestigioso Vision Festival of Jazz di New York. Dal canto loro, gli Akron/Family hanno avuto l’onore di far parte del progetto Ocropoils degli Oneida, presentato all’ATP Festival di New York, curato dai Flaming Lips.

Nel tour (solo italiano) con Kid Millions – noto ai più per il drumming propulsivo con gli Oneida ma anche titolare di un progetto solista a nome Man Forever, in bilico tra drone music, minimalismo e sperimentazione, saranno esplorate nuove versioni del repertorio Akron/Family, innervate di peculiare energia batteristica, ma non mancheranno incursioni nell’opera degli Oneida, infuocate sessions improvvisate e materiale inedito che, tornati a New York, i nostri registreranno e daranno poi alle stampe (sulla Family Tree Records degli stessi Akron).

Cosa mi puoi raccontare dell’Akron/Family Tree of Life/Infinite Roots Tour?

Seth Olinsky (chitarra e voce Akron/Family):

«Ti posso raccontare tutto! Sin dall’inizio, Akron/Family ha collaborato e integrato diverse persone nel proprio mondo sonoro. Infatti, Akron/Family comincia umilmente con dei collage di canzoni da cameretta con il semplice nome Akron. Questo primo nucleo è aumentato poi a tre persone, quattro e così via diventando appunto gli Akron/Family – un nome che voleva evocare in egual misura Wu Tang Clan ed Elephant 6. Un collettivo di amici e spiriti affini che si uniscono per creare suoni. Ed ora, la fase successiva è stata quella di espanderci da famiglia ad albero di famiglia. Questo lo puoi trovare nella nostra musica e anche nella nostra nuova etichetta discografica, Family Tree Records. È semplicemente l’evoluzione dello spirito che abbiamo sempre avuto, per espanderci e lavorare in modi diversi con persone differenti, per dar vita a nuove coraggiose espressioni. Così questo tour è un nuovo ramo, connesso alla base e alle radici di questo sentiero espressivo che abbiamo esplorato fin dagli esordi».

Come è nata, invece, la collaborazione con Kid Millions? È vero che è un ospite speciale esclusivamente per il tour italiano?

 

«Abbiamo suonato per la prima volta con Kid nel 2007 con il progetto del cantante Damo Suzuki (Can). Tre ore di jam session piuttosto visionarie che ci unirono in maniera speciale ai ragazzi degli Oneida. Da allora ci è ricapitato di lavorare ancora assieme – Kid ha suonato al Vision festival con noi (e con William Parker) e noi abbiamo suonato con gli Oneida nel 2009, al Flaming Lips ATP fest.

Ma questo tour è sicuramente il progetto più pianificato con Kid. Stiamo progettando di suonare ed esplorare materiale originale durante questo tour e registrarlo quando saremo tornati a Brooklyn. L’idea è di includere poi il resto degli Oneida ed Akron/Family e creare un disco che sia un reale documento del mondo sonoro di Akron / Family / Oneida.

È davvero un onore per noi. Quando io, Miles e Dana ci trasferimmo a Williamsburg, Brooklyn nel 2002 gli Oneida suonavano a tutte le più fighe feste drone/art/loft e davvero ci sembravano una delle principali arterie della scena rock visionaria di Williamsburg. E hanno continuato ad esserlo. Anno dopo anno, evolvendosi ed espandendo il loro suono, il loro gusto, le loro sfumature e anche la pazienza di molti ascoltatori lungo la via. Come dice il nostro amico Manish – “ follow the O! “ – e così noi li abbiamo percepiti come una band di spiriti gentili, di fratelli maggiori a cui guardare come guida artistica in questo strano viaggio».

Che tipo di spettacolo proponete in Italia?

 

«Penso che il nostro obiettivo sia esplorare una musica nuova ed unica con questo gruppo di persone e mescolarla con le musiche di Oneida e Akron/Family. Così ci saranno sia canzoni degli Oneida che degli Akron/Family, mescolate a materiale nuovo composto dal gruppo. Penso che sarà eccitante ed energetico. Una figata!».

Quale parte del tuo lavoro ti piace di più: creare e registrare nuova musica o portarla in tour in giro per il mondo?

 

«Ha! Ti piace più il giorno o la notte? Il più delle volte risponderei che vorrei fare esattamente la cosa che non sto facendo al momento! Quando sei in studio, a remixare canzoni, inchiodato a qualche maledetto dettaglio come un suono di un microsecondo, niente ti sembra più allettante di suonare su un palco, con degli enormi amplificatori sparati a tutto volume alle tue spalle. E quando sei in furgone, o in un hotel che sembra sempre lo stesso, ti sembrerebbe un sogno poter essere in studio, a registrare nuovo materiale. A volte c’è un po’ di monotonia ad essere on the road. Si può facilmente cadere nella trappola di ripetere gli stessi vecchi meccanismi. Ma questo è proprio il motivo per cui vogliamo darci opportunità nuove e portare avanti prospettive diverse, come avviene in questo tour. Uscire fuori a presentare materiale unico con musicisti diversi. Un po’ come prendere a prestito il modello del jazz ma legarlo alla personale mitologia di Akron/Family e Oneida».

Grandi festival o piccoli locali?

 

«Come sopra: sono due cose totalmente differenti, il giorno e la notte. I grandi festival possono essere ottimi per il fatto che puoi raggiungere molto pubblico nuovo. Spesso i ragazzini vengono a dirci di averci visti all’ATP (New York), a Roskilde, al Coachella. Ed è fantastico. Ma non può sostituire la soddisfazione di un locale con la capienza di 300 persone riempito da 350! Il calore e l’energia è così tangibile da renderla un’esperienza unica e magica».

 

Come si è sviluppato il vostro suono negli anni? E dove andrà in futuro?

 

«Ha! Penso che si sia sviluppato molto. Principalmente siamo cresciuti come musicisti, cantanti, artisti. In futuro andrà in molte direzioni. Vieni a sentirci e verifica da te!».

Di quali band contemporanee sei fan?

 

«Mi piacciono The War on Drugs. Sono bravi ragazzi e mi piace come portano la tradizionale canzone Americana nell’età moderna. Kurt Vile che è/era membro dei WOD ha fatto lo stesso, con uno spirito leggermente differente. Mi piacciono. Non so di preciso cosa significhi essere un fan, ma ascolto i loro dischi quando sono sul mio furgone. Certo non vado a cercare loro notizie su internet o roba del genere. (Credo di trasformarmi in fan soltanto quando si parla di libri su Dylan, in effetti)».

La vostra musica è un mix di diversi generi e diversi periodi. In molte interviste ti chiedono di definire il vostro sound. Puoi dirmi questa volta, per cambiare, che cosa la vostra musica non è?

 

«Hahaha. Ho smesso di leggere quello che scrivono di noi. Ti si insidia in testa e rischia di portarti fuori strada. Noi tendiamo a seguire le nostre fantasie, nel bene e nel male. In questo modo, sconfiniamo nello sperimentale ma sempre all’interno di un preciso paradigma Americano, che sia folk, jazz o rock’n’roll – qualsiasi cosa credo si adatti. Posso dirti per certo che la nostra musica non è Avant Metal!».

Che mi dici dell’Italia, e della vostra canzone “Italy”?

 

«Noi tutti amiamo l’Italia. La cultura, lo stile di vita, le vibrazioni, il cibo, la gente. Per noi è un onore che la nostra musica sia ben accolta nel vostro paese. A volte si dice che non ti puoi scegliere i tuoi fan. Ma per noi, che la nostra musica piaccia in un posto che amiamo è il massimo. Posso solo dire che siamo fortunati, e che speriamo questa connessione abbia qualche motivo, da ricercare nelle vibrazioni comuni.

La canzone “Italy” era una piccola poesia/ storia sul mio primo viaggio in Italia. Ero ad un workshop di jazz a Bassano Del Grappa per due settimane. L’ultimo weekend ero lì da solo e sono andato in giro per la città e nelle vicinanze, per conto mio. È un ritratto delle strade, delle luci, dell’aria, delle emozioni che vi ho respirato».

L’Europa dell’Est la conoscete un po’?

«Sì. Siamo stati in tour lì tra il 2005-2006. Abbiamo suonato con gli Angels of Light. È stato un grande viaggio».

È più facile essere un musicista in Europa o in America, oggi?

«Be, essendo un musicista Americano non posso risponderti al 100%. Se ti riferisci in particolare ai tour, varia molto. Ho amici che mi dicono che raccolgono molto di più in Europa. Per noi è a metà. Abbiamo grande audience in entrambi. Se proprio vuoi che generalizzi, posso dirti che il nostro pubblico Americano è un po’ più giovane e predisposto al movimento, invece in Europa è più un pubblico “da ascolto”».

Che consiglio daresti ai giovani che vogliono cominciare a fare musica?

«Semplicemente di farla. Io stesso devo molto alla ricchezza dell’espressione musicale, c’è tanta storia da cui imparare. Ed è ciò che penso suonando ed imparando dalla musica folk e rock’n’roll.

Vedo che per i giovani musicisti è molto interessante addentrarsi nell’aspetto mediatico e nel suo sviluppo, capisco che anche questo lato faccia parte dell’arte, e forse ha senso ed è anche una necessità al giorno d’oggi… le cose sono molto diverse anche rispetto a quando abbiamo cominciato a registrare i primi demo nel 2003, ma penso fermamente che sia molto più interessante lavorare sulla tua musica che non sul “brand image”. È importante suonare musica con i propri amici, in modi diversi. Fissarsi sull’obiettivo di costruirsi un’immagine e un marchio, non lascia molto tempo alla musica. Ed è vero, suonare non è sempre produttivo al 100% ma penso che musicalmente sia un imperativo: concentrarsi sul suonare e non sul contorno. Suonare con altri musicisti. Fare buona musica e divertirsi facendola. Penso che questo possa comunque condurti al successo».

La collaborazione dei tuoi sogni?

«Milford Graves. Philip Glass. Bob Dylan… Ayler».

Che aspettative di vendita dei dischi hai, in un periodo di downloading illegale e di cambiamenti (e crisi) del mercato?

 

«Non mi aspetto molto. Solo che le persone sentano e ascoltino. È difficile trovare il tempo per ascoltare musica oggi. Sembra più una cosa di sottofondo. A volte trovo ancora mio padre che ascolta un album standosene seduto, ad occhi chiusi. Una bella cosa. Io ascolto le cassette, quando guido. Mi piace come si fermano e ripartono in certi punti e finisco per ascoltarle in loop, anche 10 o 15 volte prima di cambiare nastro».

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