INTERVISTA ALIOSCIA CASINO ROYALE

Parte venerdì la seconda edizione del Fabrik Free Festival al Parco del Cormor di Udine, dalle 19 si esibiranno: Extrema, Tystnaden, Warfare, Sedition. Sabato saliranno sul palco Casino Royale, Arbe Garbe, Dodi e i Monodi, Ulisse e i Ciclopi, Hoosh e Red Lighthouse; domenica: Pino Scotto, Nomorespeech, The Traveller, Dog Food, Jackers, Gianluca Mosole.

I milanesi Casino Royale tornano, dopo 5 anni di assenza, con un nuovo album «Io e la Mia Ombra» (Universal) in uscita il 21 giugno e già anticipato dall’omonimo singolo, in rotazione anche un videoclip, con la regia di Cosimo Alemà. Lo scrittore Gianni Miraglia (recente il suo libro “Muori Milano Muori!”, Elliot ed.) che collabora con la band, ha scritto delle note di presentazione di «Io e la Mia Ombra»: «musica che parla di vita nascosta dietro le altrui esistenze, la speranza e le paure, siamo tutti io e la mia ombra, isolati dove non arrivano rumori, abitudini e telefonate. Solitudine che riguarda la massa e la città base che costringe, quella Milano Italia che trascina i milioni nei dubbi che cercano di notte, tutti di nuovo chiusi in case senza identità apparenti, si parla di un uomo che come una radio emette il meglio e il peggio, di sentirsi giovani come il domani e poi il crollo».
«Per noi è un momento piuttosto intenso, vista l’uscita dell’album e dell’inizio del tour». Commenta il leader dei Casino Royale, Alioscia Bisceglia. «Però siamo felici, non ci pesa. Siamo stati determinati e l’abbiamo fortemente voluto, anche se ci abbiamo messo un po’ a ritornare con un disco di inediti».
Che scaletta proponete dal vivo?
«Per adesso suoniamo anche molti brani vecchi. Quando facciamo i pezzi nuovi vedo che la gente è molto attenta, anche se ancora non li conosce. C’è un pezzo che funziona benissimo “Ogni Uomo una Radio” che potrebbe essere il secondo singolo, arriva in maniera abbastanza immediata. È un disco che si presta bene ad essere suonato dal vivo».
L’ha definito “un album urbano intimo che tocca tanti nervi scoperti”, cosa intende?
«È un disco che sa un po’ di cielo e un po’ di cemento. È abbastanza introspettivo, parla di un’intimità che è condivisibile, del rapporto con se stessi, delle ansie, delle angosce, con delle parentesi più legate all’attualità, c’è il pezzo che parla di Milano. È un disco dei Casino Royale a tutti gli effetti, non siamo né andati sulla luna né siamo diventati dei mistici che vivono in India, l’immaginario è sempre il nostro, quello della nostra Milano. Continua il percorso di autoanalisi della band cominciato quando abbiamo iniziato a cantare in italiano, dal ’92. Adesso abbiamo più di 40 anni e le esperienze lasciano un segno, quindi se ne parla, raccontiamo quello che viviamo».
Come è nata la collaborazione con lo scrittore Gianni Miraglia?
«L’abbiamo conosciuto in maniera strana, lui scriveva sul nostro sito e si firmava Six Pack (come il titolo del suo primo libro). Poi l’ho incontrato di persona, lui si è rivelato nostro fan da molto tempo, noi abbiamo letto il suo libro e da lì abbiamo trovato diversi punti di contatto.
Durante questo disco, nei momenti di insicurezza ho avuto un punto di riferimento con cui confrontarmi. C’è un pezzo che è stato scritto a quattro mani. Questa collaborazione andrà avanti».
Com’è la scena milanese?
«Sono abbastanza fiducioso perché, a parte i legami personali di appartenenza con i gruppi anni 80 e 90, mi sembra di vedere a Milano il compattarsi di una scena, di una collettività che da parecchio tempo non era così presente e visibile. Sarà anche effetto della voglia di cambiamento amministrativo che ha compattato una massa critica di persone che si sono sentite soffocate negli ultimi anni in questa città. Durante la campagna elettorale abbiamo suonato di fronte alla Stazione Centrale e forse era la prima volta che tutti i gruppi di Milano finivano sullo stesso palco. C’eravamo noi, i Ministri, gli Afterhours e molti altri: non succede spesso».
Il disco esce per una major, la Universal.
«Ultimamente uscivamo per la V2 che è stata acquisita da Universal. O ti fai prestare i soldi da una banca, o li hai di famiglia o fai un disco senza un centesimo. Le case discografiche servono ancora a qualcosa insomma. Abbiamo avuto anche un’esperienza di auto produzione ma per trovare le risorse sacrificavamo davvero tantissimo tempo che ci sarebbe servito per la creatività. Siccome siamo padri di famiglia, abbiamo anche altri lavori e non possiamo permetterci di stare 24 ore su 24 con la testa su una cosa, abbiamo deciso di semplificarci un po’ la vita e continuare ad uscire con un’etichetta».

Elisa Russo, Il Piccolo 16 Giugno 2011 

 

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