intervista Baloji in concerto al Teatro Miela il 27.10.76

«Voglio che la mia musica sia molto africana ma al tempo stesso molto moderna. Devi essere fiero delle tue origini». Nato in Africa ma cresciuto in Europa, Baloji ha unito la passione che l’ha folgorato da ragazzino, l’hip hop, con la musica tradizionale del suo paese natio, riscoperta e apprezzata solo in età adulta: ne esce un mix personale di world beat (tra world music e afro beat, con un pizzico di soul). Il suo terzo lavoro solista «137 Avenue Kaniama» è uno dei dischi più interessanti dell’anno: domani alle 21.30 lo presenta al Teatro Miela, per il secondo appuntamento con Miela Music Live. «Sarà uno show speciale – assicura l’artista belga – il primo con la mia nuova band. Misceliamo suoni elettronici con gli strumenti suonati, basso, chitarra, batteria… ci mettiamo un sacco di energia e cerchiamo di proporre qualcosa che si avvicini all’album ma al tempo stesso suona diverso, perché l’interpretazione dal vivo cambia per forza. La scaletta si concentrerà sull’ultimo cd e sull’ep del 2016 “64 bits & malachite”». La storia familiare del cantautore e rapper Baloji (“stregone” in Swahili) segna il suo percorso: nasce nella Repubblica democratica del Congo nel 1978, a 3 anni arriva in Belgio con il padre benestante, che però in breve tempo perderà i suoi averi e abbandonerà il figlio a 7 anni. Un’infanzia e un’adolescenza turbolente, finché trova la salvezza nell’hip-hop e entra a far parte del Starflam Collective, gruppo di spicco della scena belga, con cui pubblica un disco di platino. Lo “stregone” però è irrequieto e nel 2004 volta le spalle alla musica per dedicarsi alla poesia e alla regia. Nel 2007 gli arriva una lettera di sua mamma: non ne aveva notizie da 25 anni. L’incontro non sarà felice, ma lo fa riavvicinare alla musica con il desiderio di riscoprire quella del suo paese natale, che da lì in poi contamina le sue canzoni, fino al successo di «137 Avenue Kaniama». «Il titolo è l’indirizzo che trovai sulla lettera con cui mia madre riprendeva contatto con me – racconta Baloji –. Sono andato a cercarla. Mi sono ritrovato in una strada a fondo cieco, non riuscivo a individuare la casa e mi sono fermato a chiedere informazioni: “devi andare sempre avanti” mi è stato detto, e la frase mi è suonata solenne. Ho camminato finché la strada diventava sempre più stretta e alla fine eccolo lì, il numero 137». «Ci sono tre diversi temi nell’album – prosegue – la prima parte è incentrata sul corpo, la seconda sull’amore e le relazioni e la terza si focalizza sul musicista come persona dalle identità multiple». Dalla riscoperta delle sue radici alla conquista del mondo: «Abbiamo appena fatto dieci date in dieci giorni, poi sono stato a New York a presentare un mio cortometraggio, non mi fermo mai. Saremo in tour fino alla prossima estate, continuo a lavorare anche sui miei progetti video». In Italia ha già suonato, ma a Trieste è la prima volta: «Vivo a Liegi – conclude – una città belga che ha un’altissima percentuale di italiani… Quindi un po’ vi conosco! La musica del vostro paese? Seguo qualcosa, dalla nuova scena trap a nomi storici come Jovanotti».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 26 Ottobre 2018

Baloji Il Piccolo 26.10.18

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