«È un periodo di grande vitalità – racconta Francesco Bianconi, leader dei Baustelle -. Aver scritto un disco come “L’amore e la violenza vol. 2” è segno che siamo in forma e abbiamo ancora voglia di dire cose. Ai live di quest’anno ho visto molti più ventenni, un segnale positivo per una band che è in circolazione ormai da due decadi. Se sei capace di rinnovare la tua platea e conquistare anche i più giovani, rimani vivo». Il tour fa tappa al Parco Europa Unita di Cervignano per il Festival Onde Mediterranee sabato alle 21.30. Sul palco, oltre ai tre componenti storici Bianconi (voce, chitarre, tastiere), Claudio Brasini (chitarre) e Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni), ci sono Ettore Bianconi (elettronica e tastiere), Sebastiano de Gennaro (percussioni), Alessandro Maiorino (basso), Diego Palazzo (tastiere e chitarre) e Andrea Faccioli (chitarre).
«In concerto cerchiamo una riproduzione abbastanza fedele del disco – prosegue Bianconi – con qualche margine di improvvisazione. Una buona miscela tra chitarre e sintetizzatori analogici».
Il tour estivo?
«Una scaletta un po’ diversa, meno vincolata all’ultimo album, con un buon mix di tutto il repertorio. Sono dei concerti più gioiosi e divertiti, possiamo spaziare tra tutti i brani che ci va di fare, senza per forza dover promuovere il disco nuovo».
Due concept sull’amore. Ha dichiarato che (metaforicamente) “in amore nella migliore delle ipotesi ci scappa il morto”. E nella peggiore?
«Filosoficamente parlando l’amore è un annullamento dell’ego, quando si ama bisogna abbandonare la naturale tendenza al narcisismo che tutti abbiamo. È come “uccidere” sé stessi per darsi a un altro. In questo senso ci scappa il “morto” se va come deve. Nella peggiore delle ipotesi rimaniamo chiusi dentro il nostro individualismo, magari ci si ritrova in un matrimonio in cui a ciascuno non importa più dell’altro».
Come si è evoluta la rappresentazione dell’amore nelle canzoni?
«Malissimo. Detesto le canzoni amorose della musica italiana degli ultimi dieci anni. Noto in giro una superficialità, un modo di raccontare usando dei cliché, dei manierismi che rendono tutto poco interessante… Roba fatta con lo stampino che non mi va di ascoltare. Abbiamo fatto due dischi sull’argomento per dire la nostra su come ci piacerebbe le canzoni d’amore fossero».
Un’immagine seria, algida. Lo humor in cosa lo trova?
«Non è una cosa facile, mi piace quello elegante e cattivo, non la comicità facile e volgare. Vedo mancare un po’ anche quello, non c’è nessun nuovo Monty Python o Paolo Villaggio in giro. Non mi interessa un ridere solo per spegnere il cervello».
Qualche anno fa ha realizzato un audiolibro di “Kitchen Confidential” di Anthony Bourdain.
«Gli ho dato la voce e mi sembrava un tipo molto interessante, un rocker con tutti i problemi di instabilità che noi rocker abbiamo, e forse per queste similitudini mi ha anche impaurito il suo gesto tragico, quando vedi i tuoi simili non farcela è pesante, mi ha fatto tristezza e dolore. Mi è dispiaciuto anche non essere riuscito a incontrarlo di persona, continuavano a ripetermi che appena ci fosse stata occasione…».
Il prossimo disco?
«C’è qualche idea, penso che proverò a immaginarmi qualcosa di completamente diverso. Sono uno che si annoia facilmente quindi basta canzoni d’amore».
Elisa Russo, Il Piccolo 18 Luglio 2018