Intervista Canto Libero, a Trieste il 18.08.18

«Una volta Mogol dopo un concerto ci ha detto: avete suonato esattamente come avrebbe voluto Battisti. È stato uno dei più bei complimenti che poteva farci». Canto Libero, progetto 100% made in Trieste che in questi tre anni sta spopolando nei teatri di tutta Italia, è tra i pochi che può vantare la benedizione del celebre paroliere. In alcune occasioni è anche salito sul palco con loro: «La prima volta al Politeama Rossetti – racconta il frontman di Canto Libero, Fabio Red Rosso –. Da lì è nata un’intesa a livello artistico, lui ha apprezzato moltissimo gli arrangiamenti curati dal nostro direttore musicale Giovanni Vianelli, ha capito che abbiamo lavorato molto e siamo riusciti a tirare fuori tutta la musica che Lucio aveva dentro: il blues, il rock, il soul. È stato poi ospite in altre occasioni e presto sarà con noi al Teatro Romano di Verona, il 9 settembre per celebrare il ventennale della scomparsa di Battisti». Tre concerti speciali “Lucio 1998-2018”: il primo è quello di stasera alle 21 al Castello di San Giusto, nella rassegna “Hot in The City”. «Non suoniamo in città da un anno – riprende Red –. Abbiamo preparato una scaletta nuova per il pubblico triestino che è con noi sorprendente, calorosissimo, e ci ascolta per la decima volta. Le canzoni più popolari non sono state toccate, sono state però inserite un paio di chicche con nuovi video e un intro che nessuno si aspetta, un tributo che sarà una sorpresa. Tre ospiti: Marco Castelli, uno dei più grandi sassofonisti soprano in Italia, il bluesman triestino per eccellenza Franco Toro Trisciuzzi su “Il tempo di morire” e poi Livio Bolco, un fisarmonicista che amiamo molto perché oltre a essere un ottimo musicista è il papà del nostro batterista». Canto Libero include il pianoforte di Vianelli, le chitarre di Emanuele Grafitti e Luigi Di Campo, Alessandro Sala al basso e alla programmazione computer, Jimmy Bolco alla batteria, Marco Vattovani alle percussioni e batteria, Luca Piccolo alle tastiere, i cori di Joy Jenkins e Michela Grilli. «L’idea era partita da me – riprende il cantante – avevo sempre avuto il desiderio di omaggiare il più grande artista della musica italiana. Ho coinvolto alcuni musicisti con cui già collaboravo e abbiamo provato intensamente per otto-nove mesi, curando gli arrangiamenti, con l’idea di creare qualcosa di più di un semplice concerto: per esempio abbiamo contattato il regista Francesco Termini per le videoproiezioni, più tardi si è aggiunto anche Giulio Ladini che ha collaborato ai nuovi video. Con le nostre forze abbiamo organizzato i primi concerti, partendo dal Café Rossetti, poi abbiamo deciso di appoggiarci alla Good Vibrations e il progetto si è diffuso a livello nazionale».

Calarsi nei panni di Lucio non deve essere semplice: «Sono sempre stato un amante della musica nera, Ray Charles, Otis Redding, James Brown – spiega Red – ho ascoltato tanti di questi grandi artisti americani e so che era così anche per Battisti. Sul palco, in maniera molto naturale, esprimo questa passione, senza imitarlo. Probabilmente, avendo lo stesso gusto musicale, riesco a rendergli onore – lo dico con umiltà. Ho sentito delle riproduzioni che vocalmente hanno un po’ il sapore del neomelodico napoletano, con un’enfatizzazione del belcanto italiano e secondo me non è quella la strada: Lucio cantava all’americana. Era il genio della melodia, David Bowie lo aveva definito il suo artista preferito assieme a Lou Reed. Componeva la melodia cantando in inglese maccheronico con la chitarra o il pianoforte, le parole arrivavano dopo. Negli undici anni con Mogol è riuscito a sfornare una sessantina di hit, quando oggi se trovi una hit in un disco è già un miracolo, mantenendo un’originalità incredibile in ogni brano, non ce n’è uno che si assomigli a un altro. “Il Nostro caro angelo”, “La collina dei ciliegi”, “La canzone del sole” non hanno nulla in comune. Cercava uno schema nel giro degli accordi efficace, che ti prenda il cuore, che ti resti nell’orecchio, e a detta di tanti – anche di Vasco Rossi, Ligabue, Zucchero – era il numero uno».

«Canto Libero non è una mera copia dell’originale – conclude Red – non ci sono i travestimenti per emulare l’artista. Il pubblico apprezza e questo ci permette di riempire teatri da 1500 persone e non credo la gente sia disposta a pagare per vedere una copia».

Elisa Russo, Il Piccolo 18.08.18

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