cover cd  vidonis«Tutto il resto non so dove» (Goodfellas) è il disco d’esordio della cantautrice triestina Chiara Vidonis, anticipato dal singolo «Quando odiavo Roma» e da uno streaming in anteprima sul sito de Il Fatto Quotidiano. Dopo una serie di concerti in giro per l’Italia, il disco sarà presentato al Naima di Trieste il 9 gennaio.

La produzione dell’album, curata dalla stessa Vidonis, si avvale di musicisti in perfetta sintonia con l’universo musicale che la circonda; il rock in tutte le sue declinazioni, da quella che sfiora il punk ad un’intensa attitudine pop: Daniele Fiaschi (chitarre), Andrea Palmeri (batterie), Simone De Filippis (synth, basso, iPad, produzione), Stefano Bechini (sound engineer, produzione). Undici brani totalmente scritti da lei per un disco vario e denso, di musica e testi mai scontati, dagli arrangiamenti brillanti, dalla metrica affilata e stimolante.

«Questo disco è il riassunto di tutti i mondi musicali che mi porto dentro. C’è il rock più classico di “Quando Odiavo Roma”, “Il Mio Peggior Nemico” ed “Eva”, il rock che si avvicina in qualche modo a produzioni più pop di “Comprendi l’Odio” e “Tutto Finirà” e “Viola e Bordeaux” brani molto meno istintivi come “Immaginario” e “Le Cose Preziose”. Poi rimane la parte più folle del disco con “Lo Stato Mentale” (unico brano se ci penso, in cui l’intento è in qualche modo di parlare di un argomento meno personale e più socialmente condivisibile volendo anche a livello politico… anche se non mi piace affatto il termine… ma tant’è…) brano immediato, violento, con un’attitudine punk sia nella scrittura che nella produzione, “L’Incendio” una perla di paranoia e disagio nel testo rafforzato dal cambio continuo di tempo all’interno delle strofe, per esplodere poi in un ritornello in cui tutto torna quadrato, con la violenza con la quale esplode un incendio covato per troppo tempo. Il disco si chiude con “Cannibale”, forse il brano meno catalogabile. Il testo contiene in sé il titolo del disco già nella primissima parte della prima strofa “giuro il mio corpo è qui con te, tutto il resto non so dove”. È un po’ un riassunto di quello che mi accade molto spesso, soprattutto quando parlo di musica, di cose inerenti alla mia musica, per cercare di dare un contesto terreno al tutto, succede che c’è come un’astrazione, in cui il mio corpo rimane ma tutto il resto va altrove. Ci tenevo ad avere il significato più importante per me stessa a chiusura e che l’ascoltatore in qualche modo fosse costretto a tirare le somme di tutto accorgendosi della presenza del titolo non in una title track ma in mezzo al testo di chiusura. “Cannibale” non poteva che stare alla fine, è troppo piena di tutto quello che c’è nel resto del disco. Scrittura libera, rock allo stato più embrionale nelle chitarre, nelle batterie, atmosfera sognante, l’unico pezzo suonato e registrato tutti insieme».

Nonostante questo sia il tuo disco d’esordio, sei tutt’altro che un’esordiente. Mi riassumi le tappe principali del tuo percorso, dalle prime esperienze musicali ad oggi?

«Ci sono molte tappe ma come sempre, quando si tratta di un percorso lungo, quelle fondamentali sono quelle che negli anni sono rimaste nel mio cuore perché in qualche modo mi hanno formata, cambiata… sempre rimarrà fondamentale il primo progetto musicale in cui ho messo tutta me stessa, i Linea Bassa, gruppo triestino che ho formato nel ‘99 con alcuni amici. Lì ho iniziato a scrivere con costanza, confrontandomi con altri musicisti, ho iniziato a formare il mio stile. Eravamo estremamente rocchettari e quell’esperienza durata 7 anni mi ha molto formato. Ho sempre amato suoni duri, arrangiamenti complessi per i miei brani, diciamo… ed è quello che poi ho riportato in questo mio primo disco. Altra tappa fondamentale sono state la partecipazione al Premio Da Ponte nel 2011 in cui ho preso consapevolezza di altre cose, di quello che poteva funzionare meglio di altro per me, di come mi vedevo io, di come mi vedevano gli altri. Per il resto… non so, credo che le tappe più importanti siano comunque sempre state fatte di persone, di incontri che ti fanno scattare una sorta di sveglia interiore».

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Partiamo dal titolo “Tutto il resto non so dove”: me lo sveli/spieghi?

«Sono da sempre un animo inquieto, sono in un posto e vorrei già essere altrove, penso ad una cosa e già cerco una scappatoia per farne un’altra… una faticaccia a dire il vero. L’idea del disco è stata l’unica cosa sempre presente in me, una sorta di stella polare per tutto quello che ho fatto negli ultimi anni. Per questo, disco a parte, tutto il resto non so dove».

Entriamo nel dettaglio dell’album: tutto quello che ti fa piacere raccontarmi sulla sua realizzazione e sui suoi contenuti.

«Questo è un disco che ho tanto atteso, voluto, quindi ho cercato di curarlo in tutto. È un po’ un riassunto di tutto quello che mi porto dentro, dei diversi colori che trovo dentro me. Sono circondata da un gruppo di musicisti che hanno dato un fortissimo contributo. Sono stati in grado di capire quello che per me era importante venisse evidenziato e hanno messo molto del loro… abbiamo lavorato molto in studio proprio per questo motivo e ne sono contenta, il risultato mi piace sempre di più. Ora riesco a sentirlo con un minimo di distacco e sono contenta di aver messo un punto perché da animo inquieto quale sono a volte penso già al secondo disco eheheh».

Ti faccio una domanda sui testi, che trovo molto belli e mai banali. Come nascono?

«Scrivo continuamente quaderni e quaderni di roba di ogni genere… dalle parole che mi piacciono a pensieri più sviluppati, pagine senza un filo logico, dopo un po’ di tempo ci ritorno e trovo significati che sul momento non avevo considerato, mi lascio ispirare e in genere prendo subito la chitarra. Testo e musica sono difficilmente slegati per me. Sono rare le volte in cui mi trovo a creare la musica per un testo già finito.

Poi ci sono brani che nascono più istintivamente, che per me sono quelli che trattano d’amore, e brani in cui ho messo un po’ più di razionalità e meno istinto come per esempio “Comprendi l’odio” e “Le Cose Preziose”. Il primo descrive uno scenario post bellico, di distruzione ma anche di rinascita, di partenza da quello che è l’essere umano solo e potenzialmente capace di tutto. Ne “Le Cose Preziose” parlo del momento in cui ti rendi conto di quali siano le cose preziose che contano per te e della paura che provi nel momento della realizzazione. La paura di non poterle avere ma del dolore che sei disposto a sopportare per averle. Mi piace molto parlare delle mie canzoni, del loro significato, è vero che le canzoni non dovrebbero andare spiegate ma in fin dei conti se le hai scritte ci sarà un motivo e parlarne secondo me chiarisce le idee anche all’autore stesso».

Da sempre si fa una distinzione di genere che vale solo al femminile: cantautrice donna, band femminile etc (mai nessuno si sente di specificare “cantautore uomo”); e si tende a fare dei paralleli con i nomi famosi a livello nazionale ed internazionale (dalla somiglianza con PJ Harvey a quella con Cristina Donà e Carmen Consoli). Secondo te perché si dà ancora così peso al fatto che sia una donna a fare musica?

«È una domanda a cui non so rispondere… io non ho mai pensato a me come cantautrice femmina, scriverei canzoni anche se fossi uomo, per me non fa differenza… anche perché nei miei ascolti ci sono tanti cantautori maschi quante cantautrici femmine. I paralleli mi fanno sempre sorridere perché se spesso può esserci del vero molte volte invece denotano davvero poca fantasia in chi, per esprimere un’opinione, sembra non poterne fare a meno… poca fantasia e poca curiosità perché i paragoni sono sempre e solo quelli che hai citato tu (che peraltro adoro). Ma fa parte del gioco, semplifica forse lo sforzo che uno deve fare nel trovare i tratti originali di un musicista, cosa ben più difficile da descrivere credo. Invece con dei paragoni te la cavi facile facile e il concetto arriva diretto, anche se molte volte trito e ritrito».

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Sei una triestina (da quel che so molto legata a Trieste) che però vive a Roma. Qual è il rapporto con la tua città d’origine? E quello con la città d’adozione?

«Trieste per me è sempre stata casa, base, punto di partenza di tutto. È un luogo fisico che però vive nell’anima come fosse un sentimento impalpabile, per lo più d’amore. Sempre più sta diventando anche un punto di ritorno… prima o poi…

Roma è quello che ho incontrato sulla mia strada mentre cercavo di fare delle scelte sensate in anni di confusione. Da 8 anni ci vivo ed è sempre stata un’amante irregolare, spietata e amorevole insieme. Le devo molto, mi ha messo crudelmente davanti a me stessa, per questo la amo e per questo la odio».

E della scena musicale triestina cosa segui, cosa ti piace?

Chiara Vidonis«A Trieste suonano tutti, è incredibile come una città così piena di anziani abbia una percentuale di giovani musicisti altissima. Molto più di Roma, in proporzione. C’è grande fermento in tanti generi diversi e questa cosa mi piace tantissimo. Tra i cantautori mi piacciono molto The Leading Guy, Matteo E. Basta, Cortex… per citarne alcuni… tra i gruppi gli Uendi, i Lume, Burnite, Hard Lemonade… ce ne sono tantissimi. Mi limito ai progetti di musica originale sui quali mi piacerebbe ci fosse un po’ di attenzione in più, la curiosità nella vita ti può riservare belle sorprese. Mi pare poi che negli ultimi anni è cresciuta la possibilità di fare concerti in diversi locali e che per la grande maggioranza questi locali riconoscano una certa dignità ai musicisti… è un buon segnale. Mi piacerebbe molto portare a Trieste artisti da Roma e dintorni che apprezzo molto e che faticano ad arrivare in zone un po’ estreme come la nostra, sarebbe bello ci fossero delle gemellanze tra locali del triveneto in modo da garantire all’artista emergente un minimo di guadagno o un rimborso spese quantomeno, per poter portare la propria musica in luoghi un po’ fuori giro».

Di recente hai suonato negli USA, mi racconti questa esperienza?

«È accaduto tutto per caso… stavo facendo un concerto a Roma, un concerto molto intimo in una libreria, tutti seduti ad ascoltare, molto bello… potevo vedere il pubblico per bene… noto una coppia seduta in fondo. Durante la pausa mi avvicinano e scopro che si tratta di due texani in vacanza a Roma. David e Rasa. Adorano l’Italia, il concerto gli piace molto e non capire l’italiano per loro non è un problema. Questo mi stupisce molto perché sai, cantare in inglese ti permette di abbracciare un pubblico molto più vasto, cantare in italiano ti restringe la traiettoria inevitabilmente… o almeno è quello che ho sempre pensato.

Insomma, per fartela breve mi hanno invitata a suonare a Houston, in questo splendido Country Club gestito da David. È stata un’esperienza surreale perché ad ascoltarmi c’erano solo americani che non parlavano una parola di italiano. Mi hanno accolta con entusiasmo e molto rispetto, erano davvero coinvolti e per me è stata una ricarica di energia positiva.

Dopo Houston sono andata a NY, da Ricky Russo che mi sa tu conosci di vista… Ricky è un triestino che vive a NY, l’uomo più positivo del creato intero, uno che va avanti come un caterpillar per inseguire i suoi sogni. Un esempio di positività e tenacia. Ultimamente ha deciso di intraprendere la via della radiofonia indipendente e ha fondato una radio italiana a NY assieme al suo socio Alberto Polo. La radio si chiama Radio Nuova York e per finanziarla ha creato una campagna su musicraiser conclusasi con molto successo qualche settimana fa. Per pubblicizzare e sostenere il progetto ha chiamato a NY alcuni artisti italiani che hanno messo la loro immagine a servizio della causa potendo avere la possibilità più unica che rara di esibirsi in uno dei locali più in voga del momento nella grande mela, il Bowery Electric. E quindi il 7 ottobre Ricky aveva organizzato questo concerto con i Tre Allegri Ragazzi Morti e Frankie Hi-NRG e io mi trovavo proprio in quei giorni a Houston… come potevo farmi scappare l’occasione di aprire il concerto? Inutile dire che anche là altra botta di vita! In apertura del concerto c’era anche la bravissima Martina Guandalini delle Roipnol Witch, accompagnata da ottimi musicisti per l’occasione. Altra italiana espatriata a NY e inseritasi alla grande nella scena musicale locale. Riassumendo insomma sono stati 8 giorni di cose belle. Per dire che ogni tanto una botta di culo arriva e fa piuttosto bene».

Prossimi progetti? Realizzazione di un nuovo videoclip, qualche concerto particolare che vuoi segnalare…
«Il 3 dicembre c’è la presentazione ufficiale del disco al Wishlist Club di Roma. Ci tengo molto perché saremo a band completa, potendo così essere quanto più possibile fedeli al disco. Il 9 gennaio verremo a presentarlo anche a Trieste, al Naima. Per me una doppia emozione perché Trieste è la mia città. Nel mezzo ci sono altre date in giro per l’Italia sia a band completa che in acustico da sola (Imperia, Ancona, Lecce….). Per il momento quello che mi interessa è portare il disco ovunque, il più possibile, fosse per me starei sempre a suonare da qualche parte».

Elisa Russo, intervista integrale uscita in parte su Il Piccolo 18 Novembre 2015

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