«Non pensate che i like e i follower paghino le bollette. Non pensate che le urla del pubblico ai concerti sanino un buco nero che chissà dove si è innescato. Mi sono rialzato da una lettiga in aeroporto, da una barella in corsia, sono crashato al suolo come un aliante con le braccia scassate più e più volte e sono sempre rinato. Ho lasciato indietro chili e chili di infelicità che mi ero messo addosso per un decennio e ho vestito panni nuovi»; vent’anni di carriera, migliaia di concerti, 7 album, l’ultimo “Mezzanotte” andato subito nella top 3 dei più venduti: tempo di raccontarsi in un libro «Io sono – Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle» (HarperCollins, pagg 288, 17 euro) per il cantautore e rapper di Avellino Ghemon. Nel 2010 il suo viaggio lo porta a studiare canto con Al Castellana “un cantante di Trieste che posso considerare forse l’unica voce soul del nostro Paese”- scrive nel capitolo in cui racconta di quel periodo in cui cercava di imparare il triestino “dai muloni” e mangiava il panino “porzina e kren” da Siora Rosa: «I triestini non sanno nemmeno che io ci sia transitato così tanto – racconta Ghemon – ma è una città a cui voglio proprio bene. Ogni volta resto colpito dalla sua magia. Ho studiato canto con Castellana alla Casa della Musica, era estate e i corsi erano sospesi, ricordo il direttore Gabriele Centis che era sempre molto carino con me; avevo anche fatto un concerto in Piazza Hortis, nel cartellone di Trieste Loves Jazz. Mi sono vissuto la città accanto a un triestino doc come Al e il suo socio Dibiaggio, me la sono goduta vedendo anche lati non da turista. Mi auguro di tutto cuore di tornarci, magari a presentare il libro con Al come relatore».
Complici anche passaggi televisivi (Sanremo, “Ossigeno” su Rai3) sta conquistando un pubblico sempre più vasto.
«Ho questa percezione. C’è ancora tanto da fare. Ora siamo in tour e stiamo toccando i centri più piccoli. Uno scalino alla volta, come ho sempre fatto. Il mio non è stato un successo fulminante ma una crescita stabile; oggi posso portare avanti la mia idea di musica e anche di coraggio. Non mi dispiace essere arrivato gradualmente al pubblico, a modo mio e posso continuare a fare quello che volevo fare: evolvere un po’».
In mezzo, il suo primo libro.
«Con il disco posso avere l’ansia “piacerà/ non piacerà” ma con il libro non sapevo cosa aspettarmi. I feedback sono ottimi, molto confortanti. Scrivere mi piace, quindi spero di continuare. Ovviamente devo avere qualcosa di bello da scrivere».
Si è sentito più messo a nudo con il libro o con le canzoni?
«Più nelle canzoni. Il libro resta muto, non viene cantato. L’elaborazione è difficile in entrambi i casi, ma il libro una volta finito rimane lì. Le canzoni hanno una vita diversa, le porti in concerto e ogni volta torni sui temi che i testi affrontano».
È stato terapeutico dire “Io sono”?
«Alla fine, con il volume in mano, vedendo tutto sistemato in capitoli sì. Ma in fase di scrittura è stato anche un po’ antipatico parlare di tante cose che non mi avevano fatto stare bene».
La depressione?
«Mi dicono “deve essere stato difficile parlarne”. Sinceramente è stato più difficile essere depressi. Parlarne non è un problema. Anzi, con le mie prime aperture, sentendo l’empatia degli altri, ho scoperto che i momenti tosti – come quelli belli – appartengono alle vite di tutti. È un’ammissione di debolezza e quindi ci si è sempre vergognati. Nel momento in cui ne ho parlato mi è stato detto grazie. Ansia, depressione, panico sono tra le cose più diffuse sulla faccia della terra».
Come ha fatto a capire che fosse una malattia e non uno stato d’animo, una tristezza?
«L’ho sospettato ma è stato un dottore a confermarmelo, era necessario che me lo dicesse una persona competente. Il rischio di scambiarla per un’emozione è molto alto. Bisogna distinguere tra un momento di tristezza per un lutto, una delusione amorosa e la depressione, che è una mancanza di voglia di tutto. Degli specialisti possono aiutarti a chiamare le cose col proprio nome».
E ora come sta?
«Grazie per avermelo chiesto. Molto meglio. Il disco si chiama “Mezzanotte” (da un detto: “non può fare più buio che a mezzanotte” ndr), possiamo dire che sono le otto e mezza di mattina. Non sono ancora a mezzogiorno però ci sto lavorando».
Svela anche un suo lato femminile: dal rapporto con il cibo all’ossessione per le scarpe (sneakers).
«Palesare questo lato non equivale a mostrare fragilità e nemmeno dubbi sulla mia sessualità (mi piacciono le donne) ma è una mia caratteristica che mi permette di andare più a fondo nelle cose e sono contento che sia così in un mondo troppo spesso maschilista».
Racconta nel dettaglio alcune sue relazioni sentimentali. Qualcuna si è riconosciuta e lamentata?
«I loro nomi sono tutti debitamente cambiati. Per ora non ho avuto rimostranze. Poi le cose si fanno in due, 50 e 50, ci hanno messo la loro parte, non dovrebbero prendersela».
Momento più alto e momento più basso (così inizia ogni capitolo) di questo periodo?
«Momento più alto: ai concerti le persone che cantano a squarciagola, agli incontri e firmacopie è un onore vedere che ci sono persone venute a sentire quello che ho da dire. Momento più basso: ho la valigia in soggiorno; ho una nipotina nata da poco che ho visto solo due volte… stando sempre in giro mi perdo qualche pezzo ma è la vita che ho scelto».
Elisa Russo, Il Piccolo 1 Aprile 2018