INTERVISTA JAMES TAYLOR QUARTET A PORDENONE (MUSIC IN VILLAGE) IL 25.08.17

jamestaylorVenerdì 25 agosto al Music in Village di Pordenone (Parco IV Novembre) arriva James Taylor Quartet, gruppo britannico dell’hammondista James Taylor, considerato l’inventore dell’acid jazz. JTQ hanno partecipato a colonne sonore come “Austin Powers e collaborato con Tom Jones, U2, The Pogues. La serata, che inizia alle 21 prevede anche Bruno Bellissimo, Club Paradise, Edd Barbi Djset.

«È sempre bello tornare, l’Italia per noi è una seconda casa, ci siamo venuti spesso negli anni, per tanti concerti e festival e abbiamo un rapporto speciale con gli italiani», dice James Taylor. «Inghilterra e Italia sono i due paesi con cui abbiamo il rapporto più stretto. Trovo l’audience italiana molto sincera, quindi si aspetta onestà, una performance reale. Ho tantissimi bei ricordi di club e festival italiani sia al Nord che al Sud, in cui il pubblico era davvero partecipe. Poche settimane fa ho suonato al Sorrento Lemon Jazz Festival ed è stato davvero emozionante, una serata caldissima in tutti i sensi».

A Pordenone che concerto portate?

«Siamo in quattro sul palco, con un altissimo tasso di energia, in una combinazione di jazz e funk ma anche punk e rock, musica nera che incontra musica bianca. Qualcosa di unico, non penso ci siano molte band che propongono quello che proponiamo noi. Cerchiamo di raggiungere l’audience con ogni mezzo possibile. Il nostro scopo principale è intrattenere».

Bazzica tra musica jazz e classica, ma si può dire che abbia un’attitudine punk?

«Esatto, lo dico sempre. Lo spirito della musica è la cosa più importante per me. Penso che un musicista possa essere molto preparato tecnicamente ma anche in caso lo sia meno, può lo stesso comunicare con onestà, passione e spirito. E in molti casi i musicisti professionisti, purtroppo, possono perdere l’anima. Mi riconosco nell’etica punk, che permette agli esseri umani di avvicinarsi ad una forma di comunicazione superiore, al divino, grazie alla musica. Il punk assicura che ciò sia accessibile a tutti noi, senza distinzioni. Nella mia carriera mi sono sentito dire di continuo “non puoi fare questo e quello” eppure ho fatto questo e quello, cioè ho fatto tutto quello che mi era necessario, senza ascoltare nessuno. Trovare la propria voce è un’asserzione politica che deriva dal movimento punk e mi ha ispirato. Tutti possono avere una voce».

È stato definito l’inventore dell’acid jazz. Come ci si sente ad essere un pioniere?

«Tra fine anni Ottanta e inizio Novanta è comparso questo nuovo genere, perché prima a Londra c’erano diverse scene musicali molto tribali, noi abbiamo cercato di combinare varie musiche tribali in una nuova forma d’espressione e qualcun altro ha deciso di chiamarla acid jazz. Io e la mia band non volevamo inventare nulla di nuovo, seguivamo il rock, il punk, il jazz e il soul e abbiamo mescolato il tutto a modo nostro; sono stati i giornalisti a dire: «Ah questa è una novità!» e qualcun altro l’ha chiamato acid jazz. Non abbiamo fatto altro che esprimere il nostro interesse per la musica, ma in fondo ogni generazione, anche senza volerlo, propone qualche innovazione, una propria visione del mondo».

Quale parte del suo lavoro preferisce?

«Suonare davanti al pubblico mi piace molto, è speciale. Passo anche molto tempo da solo a suonare e studiare il piano e a comporre. Sono due facce della medaglia, forse non godrei tanto del lavoro solitario se non sapessi che poi ci sarà un pubblico a recepire il frutto dei miei sforzi. L’unica parte del mio lavoro che trovo davvero faticosa sta nei viaggi e nei voli di prima mattina, per il resto mi piace tutto».

Di recente avete dimostrato il vostro amore per l’analogico realizzando una raccolta in vinile. E della musica digitale, dello streaming online che ne pensa?

«Ricevo dei report ogni sei mesi, e do un occhio ai guadagni che arrivano dallo streaming e sono davvero esigui. Non sono particolarmente addentro alle logiche di internet, ma neanche posso ignorarle. In epoca di streaming e iTunes, sono contento che almeno stia tornando un genuino interesse per il vinile, per l’oggetto fisico. Se un musicista può sopravvivere registrando e vendendo i dischi, ciò può garantire un ambiente musicale più ricco anche qualitativamente».

Nei prossimi mesi?

«Un nuovo disco in uscita a novembre per l’etichetta Cherry Red Records, poi c’è un altro album in uscita l’anno prossimo, abbiamo anche pianificato una serie di concerti per solo piano. Un sacco di registrazioni, tour, impegni… cerco di trovare lo spazio per tutto, di fare più cose possibili, ci sono così tante cose che voglio fare, il tempo scorre e sento la pressione di esprimermi al meglio prima di morire, per lasciare qualcosa che resti davvero: per me la musica è stata come la vocazione per un religioso».

Elisa Russo, Il Piccolo 23 Agosto 2017

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