Come sta andando questo tour mondiale, e dove ha riscontrato le migliori reazioni del pubblico?
«Siamo stati in tantissimi posti, abbiamo cominciato da Brooklyn a New York, siamo stati poi in Giappone, a Berlino, Parigi… abbiamo avuto degli ottimi riscontri, ma prima di dare il giudizio finale bisogna aspettare di fare queste date in Italia, che potrebbero essere le migliori. Nel vostro paese il pubblico è sempre stato molto caloroso. Anche a Parigi è stato grandioso, ma ripeto: dobbiamo aspettare i concerti italiani. Sono sempre contento di venire da voi».
Heavy Trash è cominciato come un “side project”, ma poi è diventato un lavoro a tempo pieno, come sono andate le cose?
«Semplicemente le cose hanno seguito il loro corso!».
Come si può definire il vostro sound: rockabilly, country soul, punk blues, garage?
«Rockabilly è appropriato. Ma il punk è sempre nel mio cuore e nelle mie radici».
Come è nato il nome Heavy Trash (“spazzatura pesante”)?
«Non l’ho trovato io, è stato mio padre. Queste due parole mi suonavano bene e ho deciso che era proprio un bel nome per una band. Mi fa pensare al rumore della spazzatura che brucia».
Cosa mi dice della Blues Explosion, è un capitolo chiuso o solo momentaneamente messo da parte?
«No, assolutamente non è finita. Ci siamo solo presi una pausa. Faremo il punto della situazione verso estate. Penseremo anche ad un nuovo disco».
Come si è sviluppato tecnicamente il suo stile chitarristico e il suo modo di suonare, dai Pussy Galore ad oggi?
«Non mi sono evoluto, mi sono involuto. Tutto è diventato più semplice, meno complesso con l’andare degli anni. Invece di aggiungere ho tolto, tornando allo stadio primitivo».
È impegnato anche in altri progetti in questo periodo?
«No, Heavy Trash mi tiene davvero occupato».
Ha suonato molto spesso in Italia, conosce qualche band o qualche artista nostrano?
«Conosco quel ragazzo…Eros!». (Jon Spencer compare in un pezzo dell’ultimo album di Ramazzotti).
Mi dica qualcosa del live, sarete solo in due sul palco?
«In questo tour ci portiamo dietro una fantastica band di Toronto, The Sadies. Loro sono in quattro e apriranno la serata e poi suoneranno anche con noi Heavy Trash».
Come ricreate il sound del cd dal vivo?
«Non ci preoccupiamo di ricrearlo. Il concerto è sempre un’esperienza diversa dal cd e il disco. Il suono di base è lo stesso, ma il live è più intenso, fisico».
Ci può anticipare qualcosa della scaletta?
«Suoneremo pezzi da entrambi i cd, e potrebbe esserci qualche cover. Per il resto è top secret».
Ha collaborato con molti artisti di grande fama come R.L. Burnside, con chi altri le piacerebbe lavorare in futuro?
«Avrei sempre voluto suonare con il cantautore americano Tony Joe White. E poi vorrei lavorare con il produttore inglese David Holmes».
Ci dicono da anni che il blues è morto, che il rock’n’roll è morto. Lei è la prova vivente che non è così…
«Certo. Oppure sono uno zombie?».
Quali sono le sue influenze extra-musicali?
«La vita di tutti i giorni, la mia famiglia».
Che rapporto ha con la tecnologia: internet, downloading, mp3…?
«La tollero. Ci sono degli aspetti che mi preoccupano, ma per la maggior parte penso che vada bene».
Che consiglio darebbe ai giovani che cominciano a suonare?
«Non suonate con i piedi!».
Dicono che lei è uno degli artisti più intervistati, la cosa la annoia?
«Dicono cosa? Il più intervistato… mah, bisogna vedere rispetto a chi!».
Elisa Russo, Il Piccolo 31 Gennaio 2008